Curti e Di Pietro scarcerati perché depressi

Arresti in casa, il gip scrive che stanno male ma possono ripetere le bancarotte

TERAMO. Otto righe. Tante sono quelle che servono al gip Marina Tommolini per concedere i domiciliari a Guido Curti e Maurizio Di Pietro dopo che i suoi consulenti medici hanno accertato che sono «particolarmente depressi», ma anche per ribadire che «le esigenze cautelari connesse al pericolo di recidiva sono pur sempre persistenti». Il provvedimento del giudice, firmato nel pomeriggio di mercoledì, consente agli avvocati Gugliemo Marconi e Luca Gentile, i difensori di Curti, di rinunciare all'Appello (fissato per ieri mattina all'Aquila) presentato dopo il settimo no alla scarcerazione dei due arrestati per un crac da 15 milioni.

Nei giorni scorsi erano stati proprio i legali a chiedere ed ottenere dal gip la perizia medica con l'obiettivo di accertare una incompatibilità con il regime carcerario per motivi di salute. E ai periti, due medici, il giudice aveva concesso 24 ore per stabilire se i due imprenditori potessero restare ancora in cella dopo 4 mesi e trenta giorni per l'accertamento completo. «I periti d'ufficio», si legge nel provvedimento del giudice, «pur non potendo formulare una dettagliata diagnosi nosologica (essendo necessari ulteriori colloqui e valutazioni psicodiagnostiche) hanno definito le condizioni cliniche dei pervenuti di particolare gravità (stante il riscontrato marcato stato depressivo) e di rilevanza tale da rendere lo stato di privazione della libertà idoneo ad interferire negativamente sulla efficacia del trattamento terapeutico e produrre ulteriore nocumento anche con caratteristiche di irreversibilità o comunque tali da rendere ancora più grave il già compromesso stato di omeostasi psichica».

E ancora, si legge nel provvedimento di scarcerazione, «essendo stati configurati parametri atti a definire un profilo di incompatibilità con la permanenza in regime carcerario e non ritenendosi le esigenze cautelari (connesse al pericolo di recidiva e per sempre persistenti) di "eccezionale" rilevanza, si reputa di poter applicare la misura degli arresti domiciliari presso il luogo di domicilio (con divieto di contatti, anche telefonici, con persone diverse da quelle coabitanti, dai familiari e dai medici curanti)».

Curti e Di Pietro sono i principali dei sette indagati nell'inchiesta sul crac milionario e i fallimenti pilotati che ha portato anche al sequestro delle quote di due società che avevano sede legale nello studio commerciale del presidente della giunta regionale Gianni Chiodi e del suo socio, il commercialista Carmine Tancredi. Tancredi, che non è indagato, in un primo interrogatorio era stato chiamato in causa da Curti e Di Pietro nella gestione delle società del crac. In questi giorni, intanto, la procura (il caso è del procuratore Gabriele Ferretti e del pm Irene Scordamaglia) si avvia a chiudere la maxi inchiesta con una richiesta di giudizio immediato per tutti gli indagati.

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