Dà del macellaio al medico: a processo

Donna a giudizio per un post su Facebook dopo la morte di un amico in ospedale. Il pm: «Un’invettiva gratuita»

TERAMO. «Quel chirurgo è un macellaio»: la diffamazione ai tempi di Facebook è qualcosa che cambia nella forma ma non nella sostanza. Almeno quella del codice penale così come, negli ultimi tempi, ha più volte sancito la Cassazione. E trae linfa proprio dai recenti pronunciamenti dei giudici della Suprema Corte il decreto di citazione diretta a giudizio con cui il pm Irene Scordamaglia ha mandato a processo per diffamazione una donna teramana che sul profilo Facebook di un amico ha dato del macellaio ad un medico chirurgo in servizio all’ospedale di Atri.

Il post, scritto in relazione alla morte di un giovane deceduto in quell’ospedale, è questo: «Dott.... macellaio, medico chirurgo, questo è il primo nome di cui abbiamo la certezza» . Il medico si è sentito diffamato e ha denunciato. Perchè la tutela della reputazione in rete corre ormai sul filo dei social network in un susseguirsi di sentenze intervenute proprio a configurare giuridicamente la realtà del web. Scrive il pm Scordamaglia nel decreto di citazione diretta riferendosi al post sul medico: «Oltrepassando in tal modo i limiti della continenza e dell’interesse pubblico alla libera informazione e perciò risolvendosi in un’invettiva gratuita finalizzata al dispregio e al dileggio dell’intera categoria dei medici. Con l’aggravante di aver commesso il delitto attraverso internet e quindi con un mezzo di pubblicità». Perchè la Cassazione, proprio con una recente sentenza sull’argomento web , ha stabilito che: «Il reato di diffamazione non richiede il dolo specifico, essendo sufficiente ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo della fattispecie la consapevolezza di pronunciare una frase lesiva dell’altrui reputazione e la volontà che la frase venga a conoscenza di più persone, anche soltanto due». Ed è evidente che attraverso Facebook di fatto si condividono parole con più persone. La cronaca del caso teramano racconta che il medico, insieme ad altri tre colleghi, è finito a processo con l’accusa di omicidio colposo del giovane morto in ospedale al termine di un’indagine firmata dallo stesso pm Scordamaglia: ora saranno i giudici, al termine dell’istruttoria dibattimentale, a sentenziare la verità processuale e a stabilire, nel primo grado di giudizio, la condanna o l’assoluzione. «E’ legittimo il diritto di critica», commenta l’avvocato Tommaso Navarra, il legale del medico, «non è ammessa l’offesa gratuita. La rete non protegge in quanto è facilmente individuabile l’autore delle offese». E la Cassazione insegna: non si può ritenere Facebook un luogo deregolamentato.

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