Esplosione mortale, la Procura:  «A processo il titolare e il figlio» 

Tragedia a Caprafico, firmata la richiesta di rinvio a giudizio per omicidio colposo e lesioni gravi La vittima aveva 62 anni e stava operando in un’area esterna, un altro lavoratore rimase ferito

TERAMO. La Procura chiede che sia un processo ad accertare le responsabilità per l’esplosione mortale nella ditta dei fuochi d’artificio di Caprafico in cui nel febbraio dell’anno scorso un dipendente è morto e un altro è rimasto ferito.
Lo fa con la richiesta di rinvio a giudizio che il pm Stefano Giovagnoni, titolare del fascicolo aperto per omicidio colposo e lesioni, ha firmato per Elio Di Blasio e il figlio Massimiliano. Il primo è indagato nella sua veste di titolare della ditta, il secondo nella sua qualità di datore di lavoro di fatto che, secondo la Procura, avrebbe fornito le direttive operative ai dipendenti.In questo caso, sostiene sempre la Procura, due dipendenti, vittima e ferito, che non avrebbero avuto la competenza tecnica e la formazione obbligatoria per svolgere determinati compiti con materiale esplosivo. La parola, dunque, ora passa al giudice per le udienze preliminari che dovrà decidere se accogliere la richiesta del pm e quindi mandare i due a processo o se disporre il non luogo a procedere.
A fare da colonna portante alla maxi inchiesta del sostituto procuratore Giovagnoni c’è soprattutto la consulenza redatta dal perito balistico Paride Minervini che, per conto della Procura, ha ricostruito nei dettagli la causa dell’esplosione in cui nel febbraio dell’anno scorso perse la vita il 62enne dipendente della ditta Dino Trignani, di Bisenti, e un altro dipendente rimase ferito. Secondo il consulente il giorno della tragedia entrambi avevano ricevuto la direttiva di distruggere un quantitativo di miscela pirica in un appezzamento di terreno agricolo che si trova vicino all’azienda e che viene chiamato “campo prove”. Un “campo prove”, sostiene la Procura, che sarebbe stato privo di autorizzazioni allo svolgimento di attività con polveri piriche ed esplosivi. In quell’occasione, e per portare a termine l’operazione di distruzione, la vittima avrebbe rovesciato sul terreno la miscela pirica contenuta in un bidone creando in questo modo una linea di lunghezza di quasi cinque metri e accendendo la miccia che si trovava all’ estremità. In questo modo sarebbe stata provocata la combustione della polvere per tutta la lunghezza della linea. Successivamente il dipendente avrebbe rovesciato la polvere pirica contenuta in un secondo recipiente proprio nel punto in cui erano presenti delle braci conseguenza della prima combustione che avrebbe innescato la polvere pirica facendola esplodere. Il consulente lo definisce il fenomeno del “fuoco morto”.
Trignani morì sul colpo mentre l’altro dipendente, che si trovava in un punto distante, rimase ferito con una prognosi superiore a quaranta giorni. La Procura accusa gli indagati di aver assegnato ai due compiti riguardanti la manipolazione, l’uso e la lavorazione di materiale esplosivo senza che avessero le qualifiche specifiche, la competenza tecnica e la formazione obbligatoria in materia di sicurezza. A questo proposito l’autorità giudiziaria ricostruisce che i due erano alle dipendenze della ditta il primo, la vittima, con la qualifica di bracciante agricolo e il secondo di autista.
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