«Il mio Giulio è morto al servizio degli altri: un esempio per tutti» 

La madre di Pacchione, deceduto a 28 anni, lancia l’appello ai giovani «Ragazzi, non potete restare isolati dalla società: dovete impegnarvi» 

SILVI. Ci vuole tanta sapienza, d’amore e di vita, per stare dentro una tragedia rovesciando potenziali invettive contro il mondo in un messaggio di speranza. Perché non esistono mai verità assolute. Lo sa bene Adima Lamborghini, dal 1990 pediatra a Silvi e dintorni, con migliaia di bambini seguiti. La potenza della cronaca ha fatto rimbalzare il suo nome sulle pagine dei giornali perché è la mamma di Giulio Alberto Pacchione, il 28enne finanziere di Silvi che la settimana scorsa è morto sulle Alpi insieme a un collega durante una scalata di addestramento.
Giulio Alberto era un tecnico del Soccorso alpino delle Fiamme Gialle, innamorato della montagna da quando a 14 anni si era trasferito in Friuli Venezia Giulia per studiare, diventando prima maestro di sci e poi soccorritore.
E ora che i ricordi diventano zattere e che le parole di colleghi e amici raccontano i tanti soccorsi di Giulio Alberto, mamma Adima prova a fermare i pensieri nel nome di quel figlio con la montagna nella testa e nel cuore. «Faccio la pediatra da moltissimi anni», dice, «e vedo tanti ragazzi che non hanno una visione del futuro e sono sempre più concentrati su se stessi. A loro dico che non si può essere isolati dalla società, bisogna impegnarsi nella società. E si può fare sempre senza per forza fare cose straordinarie. Non è mai tutto o nulla. Qualcosa per gli altri si può fare sempre. Basta guardarsi intorno. Giulio Alberto lo faceva prima solo con la sua passione e poi con quello che era diventato il suo lavoro di soccorso. Bisogna sempre avere una visione di noi all’interno di una società. Mio figlio lo aveva trovato mettendosi al servizio degli altri nei soccorsi. I suoi amici e i suoi colleghi mi hanno detto che ne aveva fatti tanti, che era intervenuto in tantissime occasioni anche in situazioni molto difficili. Lo abbiamo saputo dopo la sua morte, perché per lui era normale non dire niente».
La parole si muovono tra le ferite perché nessun genitore dovrebbe mai sopravvivere alla morte di un figlio. «Tutto il materiale di alpinismo di Giulio andrà ai suoi colleghi e agli amici», continua mamma Adima, «vogliamo che tutti abbiano qualcosa di lui e che tutta la sua attrezzatura continui a essere usata nel servizio per gli altri. Servirà anche per continuare l’opera intrapresa da mio figlio che stava aprendo delle vie di arrampicata su una parete delle sue Alpi. Continueranno i suoi amici che la dedicheranno a lui».
Perché chi vive di montagna sa che è un posto della memoria, un luogo dove il passato si conserva più a lungo. “Pacchio”, come lo chiamavano con affetto in Val Canale, era un figlio della montagna e il suo nome resterà per sempre sulle Alpi Giulie con la via di arrampicata che lui stava aprendo in fondo a una valle. Qui nei giorni precedenti l’ultima scalata aveva lasciato il suo caschetto, la sua attrezzatura. «Come se dovesse tornare da un momento all’altro» dice mamma Adima che, con suo marito Dario Pacchione, pediatra e consigliere comunale di Silvi e gli altri due figli, ha visitato quei luoghi subito dopo la tragedia. «La montagna era la sua vita, la sua passione e Giulio aveva realizzato il suo sogno che era quello di lavorare in montagna», continua, «era un ragazzo d’oro, alpinista esperto e che agiva sempre in sicurezza. Quello che è successo purtroppo è stata una tragica fatalità». Il 9 settembre, giorno scelto per l’inumazione delle ceneri, molti dei suoi amici e dei colleghi arriveranno da Tarvisio.
Giulio Alberto e il suo collega Lorenzo Paroni stavano facendo una scalata di addestramento sul monte Mangart, al confine tra Italia e Slovenia. I due, alpinisti esperti, stavano risalendo la via Piussi, un sesto grado che percorre il verticale pilastro Nord, quando a causa del distacco di una roccia che li ha colpiti sono caduti per diverse decine di metri . I soccorritori li hanno trovati ancora legati in cordata.
«Avevano fatto tante arrampicate e scalate insieme», continua Adima Lamborghini, «erano una squadra molto affiatata, due ragazzi uniti dalla grande passione per la montagna e per il servizio agli altri. Una passione che avevano trasformato in lavoro dopo aver vinto il concorso nella guardia di finanza. Erano formati allo stare insieme, al fare sempre il gioco di squadra con un senso di comunità e di fratellanza. Un senso di appartenenza e di vicinanza della guardia di finanza che io e la mia famiglia abbiamo toccato con mano con questa tragedia. I finanzieri non ci hanno mai lasciai soli con una condivisione del dolore che ci ha aiutato moltissimo ad affrontare tutto. Conoscendoli da vicini ho capito perché il mio Giulio, così aperto verso gli altri, aveva scelto di entrare nella guardia di finanza». Il respiro si ferma. Ora parlano solo le lacrime.
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