Mette le foto osè dell’ex sui siti d’incontri 

Quarantenne teramano a processo per diffamazione e minacce. Sugli annunci anche il numero di cellulare della donna

TERAMO. Amarezza e tanta rabbia. Così una donna racconta il suo calvario in un’aula di tribunale dopo che l’ex ha diffuso su alcuni siti d’incontro delle sue foto osè. E non solo. Perchè ha pensato anche di accompagnarle con il numero di cellulare della stessa che da un certo momento in poi ha cominciato a ricevere telefonate per richieste d’incontri. Solo allora la 43enne teramana ha iniziato ad avere qualche sospetto. Poi la denuncia alla polizia postale e, in poco tempo, la scoperta di una realtà ora all’esame di un giudice con la donna che si è costituita parte civile (rappresentata dall’avvocato Alessia Moscardelli) e l’uomo a processo per diffamazione, minacce, sostituzione di persona e interruzione illecita di comunicazione.
Ieri mattina davanti al giudice onorario Belinda Pignotti l’audizione di lei che ha ricostruito i vari passaggi di una vicenda che inizia nel 2014. I due hanno una relazione sentimentale: lei è separata e lui dice di esserlo. Dopo qualche tempo lei decide di interrompere la storia, ma da questo momento in poi, racconta lei in aula, cominciano le minacce con lui che la intimidisce dicendole, si legge a questo proposito nel capo d’imputazione «di voler inviare le foto in cui lei era ritratta nuda e in atteggiamenti intimi al figlio e di trasmettere all’ex marito alcune conversazioni scaricate da Whatsapp». Secono la Procura (il pm Enrica Medori titolare del fascicolo) l’uomo, si legge sempre nel capo d’imputazione, «pubblicava sui siti d’incontri per adulti fotografie della parte offesa in atteggiamenti intimi». Accompagnandole con il suo numero di telefono cellulare. All’uomo viene contestata anche l’ipotesi di reato prevista dall’articolo 617 del codice, ovvero l’interruzione o l’impedimento illeciti di comunicazioni o conversazioni telefoniche. «Per aver attivato in nome per conto della parte offesa», si legge a questo proposito nel capo d’imputazione, «due indirizzi di posta elettronica e un profilo Facebook e dopo la fine della relazione ne cambiava le credenziali d’accesso».
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