Mosciano, muore d’embolia: la Asl paga un milione di euro

Risarciti dopo 6 anni moglie, figlioletto, genitori e un fratello del meccanico. Dopo il lutto si sono dispersi tra Usa e Venezuela

MOSCIANO. L’amore per l’Italia, trasmessogli dai genitori che avevano dovuto abbandonare la terra natale per emigrare in Venezuela, l’aveva spinto a tornare. Miguel Angelo Pulsoni nel 2005 era tornato a “casa”, a Mosciano, con la sua giovane moglie. A trent’anni si sentiva la vita in mano. Il sogno era di riportare tutta la famiglia in patria. Un sogno che si è infranto in un letto di ospedale per un’embolia polmonare. Una morte che non sarebbe dovuta arrivare, secondo i parenti. Che hanno avviato una battaglia legale per accertare le responsabilità del personale sanitario del Mazzini. E che la battaglia, sul fronte penale, l’hanno persa con due sentenze di assoluzione. Ma la vittoria è stata piena sul fronte civile. Con una sentenza pubblicata il 28 marzo il giudice del tribunale di Teramo Paolo Andrea Vassallo ha condannato la Asl a risarcire ai familiari, rappresentati dall’avvocato Sergio Menna, un totale di un milione 200mila euro.

LA STORIA. La storia della famiglia Pulsoni è quella del legame profondo che lega gli emigranti alla terra d’origine. I genitori, Mario e Francisca Maria avevano sempre parlato dell’Italia e della provincia di Teramo ai tre figli maschi, Miguel Angelo, Alejandro e Martin. Tanto che il primo, nel 2005, lascia il Venezuela e con la moglie Diana Maribel si stabilisce a Mosciano, qui viene assunto da un’impresa come meccanico. E’ qui che i due giovani vogliono vivere, è qui che acquistano una casa e poco dopo la giovane donna rimane incinta. Nel frattempo arrivano anche Alejandro e Martin. Il progetto dei tre fratelli è far tornare in patria anche i genitori tanto innamorati della terra natia. E’ il 2007, viene alla luce il piccolo B. e la felicità è completa. I nonni progettano di arrivare a breve.

LA MALATTIA. Ma il 12 dicembre 2007 il meccanico accusa forti dolori all’addome e viene sottoposto a un’appendicectomia nel reparto di chirurgia dell’ospedale di Teramo. Nei giorni successivi ha la febbre alta e il 23 viene trasferito nella pneumologia con un “addensamento basale polmonare destro”. Il 5 gennaio 2008 viene dimesso. Torna al Mazzini il 12 per un controllo e lo ricoverano in Utic per un’embolia polmonare, sottoponendolo a terapia antiaggregante. Il 20 gennaio Pulsoni va in arresto respiratorio e poco dopo muore.

Per la giovane moglie al dolore per la morte del marito si somma la difficoltà di affrontare la vita quotidiana. Senza lavoro, con un bimbo di sei mesi e un mutuo da 100mila euro da pagare. Per un anno la banca sospende le rate, ma poi sollecita i pagamenti. La donna deve vendere tutto e abbandonare il sogno: si trasferisce in Florida dalla sorella che dà ospitalità lei e al piccolo B. La morte di Miguel Angelo causa una diaspora: anche il fratello Alejandro lascia l’Italia per gli Stati Uniti. I genitori tornano in patria solo per rivedere per l’ultima volta il figlio e poi ripartono, affranti, per il Venezuela. Resta solo Martin, che lavora a Teramo e vive a Bellante. Una famiglia che doveva riunirsi in patria finisce per dividersi ancor di più.

LA SENTENZA. Nella sentenza Vassallo scrive che «risulta accertato l’errore medico e il suo apporto concausale prevalente nella morte del Pulsoni essendo gli accertamenti operati dal consulente tecnico d’ufficio del tutto privi di vizi logici e scevri da omissioni e pertanto condivisi in sede di decisione». E ancora: «Non può essere seriamente messo in discussione che essendosi verificata la morte a causa di una tromboembolia polmonare massiva con enorme dilatazione delle sezioni destre del cuore e acinesia cardiaca terminale, il tempestivo intervento trombolitico (essendo a ciò finalizzato) avrebbe impedito con ogni probabilità la morte di Pulsoni». Ma la trombolisi non è stata praticata. Il giudice rileva anche «l’esame non attento dei dati anamnestici pregressi del paziente quale la tromboflebite della gamba destra del 1998» e «la sottovalutazione delle condizioni di elevato rischio vita del Pulsoni».

Un messaggio, inviato dalla giovane madre all’avvocato Menna, sintetizza i sentimenti dei familiari dopo la sentenza: «Che tu sia benedetto. Michele protegge me e B. dal cielo».

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