Non può versare i contributi, assolto

Imprenditore travolto dai crediti non riscossi fallisce e va a processo per 60mila euro, ma per il giudice non c’è il dolo

TERAMO. In questa Italia un tempo ricca oggi diventata un deserto di paura la crisi ridisegna i confini giuridici. Perchè può rendere non penalmente perseguibile l’imprenditore che omette di versare i contributi previdenziali ai dipendenti dopo che chi doveva pagarlo non lo ha fatto. A cominciare dallo Stato, dai tanti enti pubblici per cui ha lavorato. E’ un’altra sentenza dei tempi quella firmata dal giudice Carla Fazzini che ha assolto perchè il fatto non sussiste l’industriale teramano titolare di un’azienda di marketing pubblicitario che fino al 2006 macinava commesse da pubblico e privato, anche dal Giro d’Italia. Poi la crisi ha spazzato via tutto e nel 2012 è arrivato il fallimento.

Nel frattempo l’uomo è finito a processo con l’accusa di non aver pagato nel 2008 60mila euro di contributi previdenziali a 20 dipendenti. Una fattispecie di reato che, di questi tempi, sempre più spesso trasforma imprenditori in imputati. Per conoscere i perchè della sentenza emessa venerdì bisognerà aspettare sessanta giorni, ma appare evidente che il magistrato ha riconosciuto che dietro il mancato versamento non c’è il dolo, ovvero la volontà di tenersi i soldi in tasca o nelle casse dell’azienda, ma l’impossibilità di farlo. E’ mancato quello che, per il codice, è l’elemento psicologico del reato. Il processo penale impone di valutare e provare la volontarietà dell’omissione, volontarietà che evidentemente nel caso specifico per il giudice non sussiste proprio a causa della crisi finanziaria in cui l’imprenditore si è trovato anche e soprattutto in conseguenza di condotte di terzi inadempienti nei suoi confronti. Un fatto dimostrato, dati alla mano, dallo stesso imprenditore che ha accompagnato la sua difesa da una voluminosa documentazione per dimostrare tutti i pagamenti che avrebbe dovuto percepire. E che invece non ha mai ricevuto, così come conferma l’avvocato Francesco Giannace che lo ha assistito nel processo. «Per tanto tempo abbiamo fatto decine di decreti ingiuntivi per poter avere delle somme che gli spettavano ma senza ottenere risposte», dice il legale, «l’imprenditore ha cercato di andare avanti, di pagare tutto quello che doveva, ha cercato di fronteggiare la situazione mantenendo sempre una condotta conforme alla legge. Nel corso del processo è stata provata l’assenza di responsabilità dell’imprenditore sia sotto il profilo soggettivo che oggettivo per l’impossibilità di adempiere al versamento per la sopravvenuta crisi economica che ha travolto l’azienda». La crisi lo ha spazzato via in una perversa spirale: lui ha pagato fin quando ha potuto. Poi si è arreso. E questo non è un reato. Dice ancora il suo legale: « la sentenza è importante anche per quello che è avvenuto negli anni successivi al 2008 e fino al 2012 e si inserisce in quel filone giurisprudenziale che si va ormai consolidando e che attribuisce valore predominante all’incidenza della crisi economica, soprattutto per i reati che si configurano in tale contesto». E che l’imprenditore abbia fatto di tutto per i suoi operai lo dimostra il fatto che nessuno di loro si è costituito parte civile nel procedimento penale. Perchè anche nel frullatore della crisi c’è chi il senso delle cose non lo perde mai.

©RIPRODUZIONE RISERVATA