Castiglione Messer Raimondo

ABRUZZO

Profughi ucraini integrati, l'esempio di Castiglione

Progetto di solidarietà animato dal parroco don Michele Cocomazzi

CASTIGLIONE MESSER RAIMONDO. Il piccolo borgo di Castiglione Messer Raimondo, 2200 anime sulla sponda teramana dell’arcidiocesi di Pescara Penne, diventa protagonista di una storia d'accoglienza grazie a don Michele Cocomazzi. Dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, a febbraio 2022, il giovane parroco ha subito mobilitato la comunità di Castiglione, per un grande progetto di accoglienza, dando un tetto a 25 profughi ucraini.

A più di un anno dal loro arrivo, molti profughi si sono integrati grazie all’abbraccio corale della comunità che ha consentito loro di inserirsi nel tessuto sociale e, grazie alla disponibilità di molti, di individuare un’opportunità lavorativa.

La storia di Castiglione diventa esempio in occasione della Giornata nazionale delle offerte per il sostentamento dei sacerdoti, giunta quest’anno alla XXXV edizione, in programma per domani, domenica 17 settembre. La Giornata è una domenica di sensibilizzazione che richiama l’attenzione sulla missione dei sacerdoti, sulla loro opera e sulle offerte che sono dedicate al loro sostentamento, facendo conoscere tanti progetti, a volte poco noti all’opinione pubblica, che non esisterebbero senza l’impegno quotidiano di tanti sacerdoti che con dedizione li portano avanti.

“Inizialmente avevo organizzato una raccolta fondi, destinata alla Caritas diocesana, per aiutare gli sfollati", spiega don Michele, 36 anni, "poi è arrivata la telefonata di un sacerdote, don Giovanni Carullo, provinciale dei padri orionini, per la difficoltà in cui versava il suo istituto al confine polacco-ucraino nel dare ospitalità ai rifugiati di guerra. Tutto è cambiato”. Così è partito il progetto di don Michele che ha mobilitato tutta la comunità di Castiglione Messer Raimondo.

Grazie alla disponibilità di un parrocchiano è stato offerto un palazzo gentilizio, già entrato nella proprietà di una Fondazione, nata per la salvaguardia dei prodotti tipici locali, ma si sono resi necessari dei lavori di ristrutturazione per accogliere gli ospiti, in maggioranza donne e bambini con disabilità cognitive o psicomotorie. “È partita una gara incessante di solidarietà e generosità di tutta la comunità – spiega Don Michele - per riqualificare il palazzo, pulire e sistemare gli ambienti, arredare e allestire le camere”.

Dopo un primo periodo, trascorso nel palazzo, i profughi hanno ricevuto alcuni alloggi popolari dell’Ater, ente provinciale di Teramo e del Comune. La pubblica amministrazione si è trovata impreparata con l’emergenza, anche psicologica, per le storie di morte e distruzione portate sulle spalle dai profughi, ma con l’aiuto di enti privati non si è sottratta. “Qui non abbiamo precedenti di migranti – aggiunge don Michele – a parte pochissime famiglie dall’est, nord Africa e Asia, perché viviamo il dramma dello spopolamento dall’entroterra verso il mare o il nord Italia”.

L’abbraccio corale della comunità ha consentito al piccolo gruppo di profughi di inserirsi nel tessuto sociale e, grazie alla disponibilità di molti, di individuare un’opportunità lavorativa. In tanti si sono messi a disposizione come Monia, 45 anni, catechista in parrocchia, che ha supportato la docente in pensione Franca Chiarelli per il corso di lingua italiana, e Caterina Lingeri, 75 anni, coordinatrice del gruppo di prima accoglienza con una ventina di volontari.