il caso

Rimane a Roma il processo per il crac della Banca Tercas

Secondo alcuni avvocati dovrebbe tenersi a Teramo, ma la loro eccezione è stata respinta dal gup. Ammessa la costituzione delle parti civili che l’avevano richiesta, tra cui la Fondazione e Bankitalia

TERAMO. Il processo per il crac della Tercas resta a Roma. Lo ha deciso il gup del tribunale romano Giulia Proto, che ha respinto l’eccezione di incompetenza territoriale presentata dagli avvocati di buona parte dei quindici imputati, secondo i quali il processo si dovrebbe tenere invece a Teramo, cioè dove è avvenuta, o dove ha preso origine, la maggior parte dei fatti che hanno portato al tracollo della banca e a tutto quello che ne è conseguito, dal commissariamento all’azzeramento del valore delle azioni, all’ingresso della nuova proprietà. Il processo, nato da un’inchiesta della procura di Roma, resta dunque nella Capitale, ma non è stata questa l’unica decisione importante della seconda seduta dell’udienza preliminare.

L’altra notizia di rilievo è che il giudice ha ammesso la costituzione di parte civile di tutti coloro che ne avevano fatto richiesta la settimana scorsa. Saranno quindi nel processo, per ottenere il risarcimento dei danni, la Banca d’Italia, la stessa Tercas nella duplice veste di indagata e danneggiata, la Fondazione Tercas, presieduta da Mario Nuzzo, che ha visto totalmente azzerata la sua partecipazione nella proprietà della banca (deteneva oltre il 60% del capitale sociale), la Bper, la curatela fallimentare di una delle società coinvolte nel crac della Tercas – si tratta della Dima del gruppo del costruttore molisano Raffaele Di Mario, anche lui tra i 15 imputati, – e una singola azionista. Anche in merito alle costituzioni di parte civile ci sono state le opposizioni degli avvocati, tutte respinte. Tra queste, in particolare, alcuni difensori si sono meravigliati dell’ammissione della Bper, che si è costituita sul presupposto del danno causato dalla sua partecipazione (obbligatoria per tutte le banche, peraltro) al Fondo interbancario di tutela dei depositi che è intervenuto con 265 milioni di euro per ripianare il buco di otre 600 milioni causato – secondo le accuse – dalla gestione dell’ex direttore generale Antonio Di Matteo, principale imputato in questo procedimento. L’udienza preliminare andrà avanti fino alla fine del mese, secondo il calendario stilato dal giudice Proto, ma per sapere se ci sarà il rinvio a giudizio di tutti o parte degli imputati, o eventuali proscioglimenti, bisognerà attendere probabilmente fino al mese di settembre, quando dovrebbe riprendere l’udienza dopo una lunga interruzione (sempre se nel frattempo le parti non concorderanno con il giudice un nuovo calendario).

Sempre a settembre sarà esaminata la posizione di chi ha chiesto di essere giudicato subito con il rito abbreviato: per adesso c’è stata solo la richiesta presentata da Antonio Sarni, il titolare dell’omonimo gruppo che gestisce un gran numero di bar e ristoranti sulla rete autostradale. Ci avrebbe invece ripensato Giampiero Samorì l’avvocato-imprenditore modenese che nei giorni scorsi sembrava intenzionato a chiedere l’abbreviato. Probabilmente ha modificato la propria strategia processuale, ma c’è ancora qualche giorno di tempo per presentare la richiesta.