il processo

Teramano violenta la figlia della convivente: 6 anni

Un commerciante condannato dopo la denuncia della madre: all'epoca la ragazzina aveva 15 anni

TERAMO. E’ la verità processuale di una sentenza di primo grado a raccontare la disperazione di una ragazzina. Dopo quasi tre ore di camera di consiglio i giudici condannano a sei anni un cinquantenne commerciante teramano accusato di violenza sessuale sulla figlia 15enne della sua convivente (non citiamo le generalità dell’uomo per tutelare una minore).

Il collegio, presieduto da Giovanni Spinosa, a latere Sergio Umbriano e Carla Fazzini, accoglie in pieno la richiesta del pm Bruno Auriemma che al termine di una complessa e delicata indagine aveva chiesto ed ottenuto il giudizio per l’uomo. Denunciato dalla convivente dopo che la 15enne era scappata di casa. Una fuga diventata la spia del profondo malessere della ragazzina a cui il patrigno aveva fatto credere che, qualora avesse detto qualcosa di quegli incontri, lui non avrebbe esitato a cacciare fuori di casa lei, la madre e il fratellino più piccolo. Ma quella fuga è stato il segnale da cui la mamma ha capito che stava succedendo qualcosa.

«Ho percepito dei segnali», ha raccontato la donna ai giudici, «perchè anch’io da piccola sono stata abusata da una persona della famiglia e allora mi sono resa conto che quello che era successo a me stava capitando anche a mia figlia. Ma quando l’ho capito purtroppo era già troppo tardi. Non sono riuscita ad evitarle il dolore che ho provato io». Nel corso della sua deposizione, la donna ha rivelato ai giudici i sospetti che l’hanno accompagnata per settimane, fino a quando ha trovato delle foto osè della ragazzina nascoste sul suo cellulare. «Quando le ho viste ho capito che non mi stavo facendo un film nella mia testa», ha detto ancora, «ma che i miei dubbi erano veri, che i sospetti erano fondati».

Ed è un lunga cronistoria di fatti e date quella che la donna ha inanellato davanti al collegio per raccontare e ricordare. Perchè le storie che approdano in un’aula di giustizia debbono sempre fare i conti con il passare del tempo che indebolisce ogni ricostruzione. «Sono passati cinque anni», ha continuato la madre nel rispondere alle domande dei legali, «e certamente i ricordi si sono affievoliti. Ma lo stato di agitazione di mia figlia, il timore che forse una sua parola potesse far capitare qualcosa a me io non li dimenticherò mai. Perchè non ci si comporta così con una ragazzina che conosci da quando aveva sette anni e che ti chiama papà. Con il passare degli anni ho capito tante cose, anche il perchè lui non volesse fare da solo dei viaggi di lavoro con il camion. Mi diceva che aveva paura che potesse capitargli qualcosa e non ci fosse nessuno a soccorrerlo. Così quando io non potevo andare per questioni di lavoro lui mi chiedeva se potesse accompagnarlo mia figlia.«Non fa niente se perde un giorno di scuola» mi diceva e così lei andava».

Le accuse della ragazzina sono state cristallizzate in un incidente probatorio fatto durante le indagini preliminari. L’uomo ha sempre respinto ogni accusa, sostenendo che sia l’ex convivente sia la ragazzina si siano inventate tutto per una vendetta nei suoi confronti. Mamma e figlia si sono costituite parte civile e a loro il tribunale ha riconosciuto i danni da stabilirsi in sede civile.