Teramo, chiuso il Baccanale: andrà all’asta

Fallita la società proprietaria del locale di viale Mazzini, il 9 maggio il tribunale fissa la vendita: prezzo base 136.150 euro

TERAMO. Il Baccanale sarà venduto all’asta. Il giudice fallimentare Giovanni Cirillo ha infatti emesso il decreto di vendita: l’elegante locale di viale Mazzini sarà messo all’asta il 9 maggio. E’ la conseguenza del fallimento della società Baccanale, avvenuto il 17 febbraio 2016. Curatori sono stati nominati i commercialisti Paolo Quaranta e Paolo Di Sabatino, coadiutore legale l’avvocato Fabrizio Colantoni. Il prezzo a base d’asta, stabilito in base a una perizia di stima, è di 136.150 euro. La stima riguarda soprattutto il marchio – è stato il terzo baccanale in italia – e le attrezzature di particolare pregio delle diverse attività svolte nel locale: gelateria, ristorazione, bar e pizzeria.

Il locale è chiuso dal 5 gennaio scorso, quando è stato risolto il contratto di affitto con la società Elecat srl, che aveva preso in locazione il ristorante a maggio 2015, cioè prima del fallimento della società Baccanale. Una volta subentrati, i curatori hanno confermato il contratto di affitto.

Pochi giorni dopo la chiusura del Baccanale, peraltro, il 18 gennaio, si sono verificate le quattro forti scosse di terremoto e i locali, già inattivi, sono stati dichiarati inagibili. Ma la proprietà delle mura, la “Immobiliare Sant’Atto” ha messo in sicurezza il locale e sta per fare i lavori in modo da riavere l’agibilità. La somma stabilita dalla perizia, ovviamente, non riuscirà a soddisfare il passivo a cui sono stati ammessi i dipendenti e i fornitori.  

Il Baccanale aprì in grande stile il 4 novembre 2013, candidandosi ad essere un locale di richiamo per tutto l’Abruzzo. Un locale che offriva diverse opzioni al cliente, dall’angolo panetteria al ristorante. All’inizio occupava 23 dipendenti, scesi poi a 15. Ma a sorpresa arrivò la chiusura – la prima – il 18 febbraio 2015. Il locale di viale Mazzini faceva capo a tre soci: l'amministratore unico Giuseppe Paterna, oltre a Bruno Randi e ad Adriano De Remigis. Quest'ultimo già dall'agosto 2015 aveva iniziato delle manovre di uscita dalla società. E in un'assemblea a metà febbraio 2015 in cui si sarebbe dovuto decidere se ricapitalizzare l'attività non si presentarono nè Randi nè tantomeno De Remigis. Da qui la decisione di chiudere. Un mese dopo ci fu anche una manifestazione di protesta di alcuni dipendenti che reclamavano il pagamento degli arretrati e affissero di notte uno striscione davanti al locale. Il resto è scritto nei fogli di carta bollata al tribunale fallimentare. Una storia che il 9 maggio probabilmente vedrà una svolta se l’asta non andrà deserta, altrimenti se ne dovrà fissare un’altra abbassando il prezzo. Pare ci siano già delle manifestazioni di interesse, ma solo il tempo dirà se diventeranno concrete.

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