Teramo, fallimento si chiude dopo 21 anni: imprenditori risarciti

Il ministero condannato per i tempi abnormi della causa La sentenza lo obbliga a pagare 34mila euro ai due soci

TERAMO. Una piccola ditta a gestione quasi familiare, di quelle che l’alba di una crisi epocale travolgerà subito. Ma dal 1992 ci vorranno 21 anni di fascicoli e conteggi per chiudere la procedura fallimentare di un’ impresa che vendeva concimi e fertilizzanti a Val Vomano di Penna Sant’Andrea. Tanti, decisamente troppi, anche per la giustizia di un Paese i cui tempi lunghi sono sempre più nel mirino della Corte Europea dei diritti dell’uomo.

Oggi la cronaca racconta che due piccoli imprenditori teramani, all’epoca soci di quell’azienda e assistiti dall’avvocato Guido Felice De Luca, sono stati risarciti con 34mila euro, quindi 17mila ciascuno, dal ministero della Giustizia condannato a pagare dalla corte d’appello di Campobasso (i giudici competenti territorialmente sull’operato dei colleghi teramani).

La sentenza è arrivata a fine 2013 (di qualche giorno fa è il bonifico del ministero ai due imprenditori) dopo un ricorso presentato contro il tribunale teramano con una richiesta di equo indennizzo, così come previsto dalla legge Pinto. Una normativa del 2001 che stabilisce che chi è stato coinvolto in un procedimento giudiziario per un periodo di tempo considerato irragionevole, cioè troppo lungo, può richiedere una equa riparazione. La legge Pinto, infatti, ha introdotto nel nostro ordinamento uno strumento legislativo che preveda un’equa riparazione a «chi ha subito un danno patrimoniale o non patrimoniale per effetto di violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali». Questo in relazione al mancato rispetto del cosiddetto “termine ragionevole” previsto dall’articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 che recita: «Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge». Perchè le leggi servono a definire un confine non solo penalmente, ma anche moralmente, invalicabile. Ma occorrono anche comportamenti pubblici, modalità educative che esprimano concretamente il rispetto dovuto a ciascuno.

Dopo 21 anni trascorsi in attesa di un pronunciamento nessuno canta vittoria. A cominciare dai due imprenditori inghiottiti dal gorgo di un procedimento che li ha lasciati in un limbo. Perchè aspettare due decenni non può essere giustizia: una durata irragionevole, sicuramente sproporzionata alla semplicità di un caso come il fallimento di una piccola azienda . Ma così è. E i numeri sono lì a dimostrarlo.

Basti pensare che a 13 anni dall’entrata in vigore della legge Pinto lo Stato ha accumulato un debito di oltre 340 milioni di euro verso le vittime delle giustizia-lumaca. Una realtà così marcata che nel bilancio del ministero della Giustizia esiste un apposito capitolo di spesa per far fronte a questo tipi di risarcimenti. Che non finiscono mai nonostante i numerosi e sempre più pressanti richiami della Corte europea. Perchè le emergenze continuano a segnare la vita di questo Paese. Non perchè accadano continuamente eventi imprevedibili, ma perchè il nostro sistema organizzativo tende a trasformare in urgente tutto ciò che è prevedibile. Con buona pace dei protagonisti.

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