Teramo, i genitori di De Carolis: ridateci lo zainetto di nostro figlio 

Il tecnico del Soccorso alpino morto nell’incidente lo aveva con sé, ma nessuno sa dove sia finito. «Per noi ha un grande valore affettivo, ma potrebbe anche essere utile alle indagini» 

TERAMO. «Quello zainetto con tutta la sua attrezzatura racconta chi era mio figlio». Il rumore delle parole di papà Nicola scandisce il dolore che scava dentro. Perchè nessun genitore dovrebbe mai sopravvivere alla morte di un figlio.
Un figlio eroe come Davide De Carolis, 39 anni, teramano, nome e volto del Soccorso alpino abruzzese, tra i primi a salvare vite nell’inferno di Rigopiano, deceduto nell’elicottero del 118 precipitato a Campo Felice la mattina del 24 gennaio 2017 dopo un soccorso.
Da 608 giorni papà Nicola e mamma Lalla cercano quello zainetto che nessuno sa dove sia finito. Perchè le tappe obbligate di un procedimento giudiziario raccontano tragedie che con il trascorrere del tempo possono solo diventare più dolorose, stritolate da meccanismi spesso incapaci di risposte risolutive. Tutte le ricerche e le procedure fatte fino a questo momento dal loro avvocato Gennaro Lettieri non hanno portato a nulla. Negli atti della Procura aquilana, che sull’incidente ha aperto un fascicolo e successivamente fatto richiesta d’archiviazione, non risulta alcun verbale di sequestro di quello zaino. «E’ difficile da credere e da capire», dice papà Nicola, per anni dipendente del Comune di Teramo e ora in pensione, «noi sappiamo che tutto il materiale disperso dopo l’incidente è stato recuperato e messo in un saccone. Tra questi lo zaino di mio figlio con tutta la sua attrezzatura, quella che gli era tanto cara, quella con cui negli anni ha salvato tanta gente. Davide era questo».
Perché quello che prima era adesso diventa altro. A partire da una data l’esistenza vira, assume un’altra prospettiva con i ricordi che diventano zattere per sopravvivere. Come le foto in cui Davide sorride tra i suoi amati monti o con la sua amatissima figlioletta, come i video raccolti dagli amici, come uno zainetto. «Era il suo mondo, quello da cui mio figlio non si separava mai», dice Nicola, «ma oltre al valore affettivo che va al di sopra di tutto io credo che quello zainetto possa essere importante anche per le indagini, per capire, per cercare di dare delle risposte ad una morte assurda».
Quella di Davide e di altre cinque persone che quella mattina si trovavano su quell’elicottero: Valter Bucci, medico del 118; Giuseppe Serpetti, infermiere del 118; Mario Matrella, verricellista; Gianmarco Zavoli, pilota, ed Ettore Palanca, il cittadino romano soccorso dopo una frattura sulle piste da sci. Per Davide, come per tutti gli altri, doveva essere un intervento di routine, uno dei tanti fatti e da fare. E’ stato l’ultimo di un mese che per il 39enne teramano era iniziato nel silenzio assordante di un hotel sepolto da una valanga, in una notte interminabile con lui tra i primi ad arrivare in quell’inferno diventato Rigopiano.
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