Teramo, l'istituto zooprofilattico condannato per mobbing

I giudici d’appello respingono il ricorso dell’istituto: "Comportamento persecutorio nei confronti di un veterinario"

TERAMO. Ai giudici della corte d’appello dell’Aquila bastano cinque pagine per stabilire «la situazione mobbizzante riconosciuta dal primo giudice» e confermare la condanna per mobbing all’istituto zooprofilattico dopo la denuncia di un dipendente. Si tratta di un medico veterinario che ha accusato l’ente di averlo perseguitato dal 2008 al 2001 con cinque provvedimenti disciplinari, tra cui anche la sospensione dello stipendio, procurandogli «uno stato di depressione, stress e ansia».

A maggio il giudice del lavoro di Teramo Maria Rosaria Pietropaolo ha accolto il ricorso del dipendente, riconoscendogli l’insorgenza di una malattia professionale e di un danno biologico e per questo ha condannato l’istituto a risarcirlo di 12mila euro. La sentenza è stata impugnata dallo Zooprofilattico, ma il 19 novembre i giudici di secondo grado (collegio presieduto da Rita Sannite a latere Maria Luisa Ciangola e Ciro Marsella) hanno respinto il ricorso confermando in toto la sentenza di primo grado.

Scrivono i giudici d’appello: «La sentenza merita conferma anche per quanto riguardo la situazione mobbizzante riconosciuta dal primo giudice con riferimento alla pretestuosità delle sanzioni e alla loro reiterazione nel tempo. Il giudice non ha fatto discendere dalla illegittimità delle sanzioni la loro pretestuosità come categoria distinta dalla illegittimità, rilevando come la medesima fosse indice di un comportamento persecutorio da parte del datore di lavoro, concorrendo pertanto tutti gli elementi per la configurabilità del mobbig, vale a dire una serie di comportamenti di carattere persecutorio posti in essere con intento vessatorio, la lesione della salute, della personalità o della dignità del dipendente». Va detto che, dopo la sentenza del giudice Pietropaolo, il dipendente ha impugnato altri procedimenti discipplinari fatti successivamente nei suoi confronti e per questo è in corso un’altra causa di lavoro.

Nel provvedimento di primo grado il giudice aveva scritto: «La pretestuosità delle contestazioni e la loro reiterazione nel tempo rappresentano elementi indiziari, gravi, precisi e concordanti che riscontrano l’esistenza di un intento persecutorio nei confronti del dipendente, elementi che, valutati unitamente ad ulteriori circostanze, relative in particolare alle condizioni di lavoro e all’atteggiamento di denigrazione del ricorrente con riferimento alla sua persona e ai risultati della sua attività, confermano pienamente la sussistenza del dedotto mobbing, sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo». Una delle contestazionidell’ente riguardava il caso in cui il dipendente aveva scattato delle foto del proprio ambiente di lavoro per denunciare la presenza di amianto. A questo proposito il giudice aveva scritto: «Si ritiene che la sanzione comminata appaia ingiustificata e decisamente non proporzionata all’entità dei fatti contestati, che ancora una volta si ricollegano alle problematiche inerenti alla sicurezza dei luoghi di lavoro e alla conseguente legittima facoltà del lavoratore di assumere iniziative per tutelare la propria salute fisica».

In primo grado il dipendente era stato assistito dall’avvocato Enzo Piersanti, mentre in appello dall’avvocato Sigmar Frattarelli. (d.p.)

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