Tercas, in 14 impugnano la supermulta

Nisii, di Matteo e l’ex Cda ricorrono contro Bankitalia per annullare sanzioni da 45mila e 220mila euro

TERAMO. Tercas, è cominciato il secondo round. In 14 impugnano la maximulta di Bankitalia. E lunedì, ultimo giorno utile, presenteranno al Tar Lazio ricorsi di mille pagine ciascuno. Da Lino Nisii e Antonio Di Matteo all'ex Cda della banca commissariata dicono no a sanzioni che vanno da un minimo di 45 mila euro ai 220 comminati all'ex direttore generale. Dal passato che ritorna al futuro dietro l'angolo, cioè alla banca Popolare di Vicenza che sembra rimettersi in moto per tentare la scalata alla Tercas.

La banca del presidente Giovanni Zonin è ancora in corsa e in concorrenza con le quattro Fondazioni abruzzesi e il loro progetto di ricapitalizzare l'istituto di corso San Giorgio. Lo dimostra la decisione del consiglio d'amministrazione della Pop di Vicenza che, su delega conferitagli dall'assemblea dei soci, ha deliberato di procedere ad un aumento di capitale fino ad un controvalore di 253 milioni di euro, e alla contestuale emissione di obbligazioni convertibili della durata di 5 anni. Non c'è nero su bianco sul perché dell'operazione a sei zeri, ma da ambienti bancari trapela l'indiscrezione che questa sia legata a una "eventuale acquisizione". Che non può che essere della Tercas. Ma torniamo alla maximulta di Bankitalia.

I sanzionati chiedono la sospensiva, che sarà decisa entro luglio, e l'annullamento nel merito che però avrà tempi lunghissimi perché già pende davanti alla Corte costituzionale una questione di legittimità sollevata dalla stessa banca centrale di via Nazionale sul fatto che la competenza a decidere spetti alla Corte d'appello e non al giudice amministrativo.

A ricorrere è l'ex Cda, dal presidente Nisii mandato via da Bankitalia e multato per 190 mila euro al suo ex vice Mario Russo (120 mila euro) ai sette ex membri, tutti professionisti teramani (ciascuno per 90 mila euro). Quindi l'ex dg Di Matteo (220 mila euro) e il suo vice Francesco Corneli (45mila euro), per finire con l'ex presidente del collegio sindacale (90 mila euro) e i due ex sindaci (ognuno dei quali dovrebbe pagare 75 mila euro). In parole semplici ed estrema sintesi di centinaia di pagine di ricorsi, abbiamo da un lato la Banca d'Italia che, a seguito di una circostanziata relazione ispettiva, contesta a vario titolo ai 14 multati gravi inadempienze «nella struttura dei controlli e la gestione dei rischi». Il cartellino rosso degli ispettori va peraltro molto al di là della caso Raffaele Di Mario, cioè il costruttore romano che prima di essere travolto da un crac da 800 milioni di euro beneficiò di un prestito d'oro di 23 milioni dalla Tercas. Proprio questo è stato però l'incidente di percorso costato alla cassa teramana il commissariamento e quindi le poltrone allo storico presidente Nisii e al dg Di Matteo oltre che un’inchiesta penale, ancora in corso a Roma, che ormai conta quasi cento indagati e coinvolge anche colossi del credito come Unicredit.

Che cosa contestano i ricorrenti? Se Bankitalia, alla fine del 2010, autorizzò l'acquisto della Caripe dopo aver considerato sia la struttura che i sistemi di controllo della Tercas in regola, perché due anni dopo ha cambiato parere infliggendo le maxi multe? Che cosa è cambiato nel giro di poco tempo? E ancora: il bilancio del 2011 (approvato nel 2012 dal Cda, dal collegio sindacale e da una società di revisione) si era chiuso sì con una perdita che però era di 9 milioni di euro peraltro dopo il recepimento delle rettifiche della stessa Bankitalia. Come mai ora si parla di cifre astronomiche che superano i 240 milioni di perdite?

I 14 ricorrenti accusano infine la banca centrale, che a Teramo ha inviato il commissario Riccardo Sora, di aver negato loro il diritto alla difesa. Come? Sbarrando le porte che davano accesso agli atti. E' il secondo tempo di una resa dei conti, davanti alla quale la politica teramana resta però in silenzio.

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