Ucciso con venti coltellate, oggi il processo
Davanti al giudice il marocchino accusato dell’omicidio del teramano Max Costantini.
TERAMO. Un anno dopo l’omicidio di Ennio Max Costantini, il 19enne marocchino Mounem Dhaib, reo confesso e da allora in carcere, torna dal giudice. E’ fissata per oggi dal gup Marina Tommolini l’udienza per il rito abbreviato sull’uccisione dell’artigiano di 69 anni, ex pesista ed allenatore, colpito con venti coltellate nel capannone della sua ditta il 17 novembre scorso. Per la procura il colpevole è Mounem Dhaib, arrestato cinque giorni dopo il delitto, nascosto nella casa dei suoi familiari. Il pm titolare del caso, Roberta D’Avolio, ipotizza per il giovane nordafricano l’accusa di omicidio volontario. Non ci sarebbero aggravanti: né quella della premeditazione né quella della crudeltà né quella dei futili motivi. L’accusa, dunque, avrebbe creduto, dopo aver fatto le opportune verifiche, al racconto del giovane che subito dopo l’arresto confessò l’omicidio.
Il ragazzo tutte le volte in cui è finito davanti ai giudici ha sempre detto di aver perso la testa e di aver ucciso Max Costantini con un coltello trovato sul posto, accanendosi con venti colpi, in un impeto di rabbia, per reazione alle avances sessuali dell’artigiano. Avances che il giovane avrebbe percepito come intollerabili, così ha detto, per la sua profonda religiosità. Oggi il giovane, difeso dagli avvocati Tommaso Navarra e Luca Di Edoardo, tornerà nuovamente davanti al giudice per quello che si annuncia l’atto finale. Anche se non è escluso che il giudice possa chiedere di approfondire alcuni aspetti del caso. Nei mesi dopo il delitto inquirenti e investigatori (le indagini furono fatte dalla squadra mobile) hanno continuato a cercare nuovi riscontri e ulteriori elementi. Rispetto alla versione di Mounem Dhaib c’era, in particolare, un dubbio legato all’ora della morte dell’artigiano.
Secondo i risultati dell’autopsia Costantini sarebbe deceduto tra le 20 e le 22 di lunedì 17 novembre, mentre il ragazzo ha sempre detto di aver ucciso l’ex atleta intorno alle 15 e di essere poi tornato a casa con l autobus, lo stesso mezzo con cui era arrivato nel vecchio capannone di San Nicolò a Tordino dopo un appuntamento concordato tramite telefonino per parlare di questioni legate al lavoro. A quell’ ora di pomeriggio, con le fabbriche della zona ancora aperte, nessuno però ha visto il giovane uscire dal vecchio capannone con un giubbino insanguinato, giubbotto che successivamente è stato ritrovato dagli investigatori. Dubbi sulla versione del marocchino sono stati sollevati anche dai familiari di Costantini, soprattutto perché appariva strano che un ragazzo esile come Mounem potesse sopraffare da solo un uomo grande, grosso e ancora forte come Max. I familiari hanno ipotizzato una sorta di spedizione punitiva, una vendetta pianificata e realizzata da più persone, ma l’inchiesta non ha trovato riscontri su questi aspetti.
Il ragazzo tutte le volte in cui è finito davanti ai giudici ha sempre detto di aver perso la testa e di aver ucciso Max Costantini con un coltello trovato sul posto, accanendosi con venti colpi, in un impeto di rabbia, per reazione alle avances sessuali dell’artigiano. Avances che il giovane avrebbe percepito come intollerabili, così ha detto, per la sua profonda religiosità. Oggi il giovane, difeso dagli avvocati Tommaso Navarra e Luca Di Edoardo, tornerà nuovamente davanti al giudice per quello che si annuncia l’atto finale. Anche se non è escluso che il giudice possa chiedere di approfondire alcuni aspetti del caso. Nei mesi dopo il delitto inquirenti e investigatori (le indagini furono fatte dalla squadra mobile) hanno continuato a cercare nuovi riscontri e ulteriori elementi. Rispetto alla versione di Mounem Dhaib c’era, in particolare, un dubbio legato all’ora della morte dell’artigiano.
Secondo i risultati dell’autopsia Costantini sarebbe deceduto tra le 20 e le 22 di lunedì 17 novembre, mentre il ragazzo ha sempre detto di aver ucciso l’ex atleta intorno alle 15 e di essere poi tornato a casa con l autobus, lo stesso mezzo con cui era arrivato nel vecchio capannone di San Nicolò a Tordino dopo un appuntamento concordato tramite telefonino per parlare di questioni legate al lavoro. A quell’ ora di pomeriggio, con le fabbriche della zona ancora aperte, nessuno però ha visto il giovane uscire dal vecchio capannone con un giubbino insanguinato, giubbotto che successivamente è stato ritrovato dagli investigatori. Dubbi sulla versione del marocchino sono stati sollevati anche dai familiari di Costantini, soprattutto perché appariva strano che un ragazzo esile come Mounem potesse sopraffare da solo un uomo grande, grosso e ancora forte come Max. I familiari hanno ipotizzato una sorta di spedizione punitiva, una vendetta pianificata e realizzata da più persone, ma l’inchiesta non ha trovato riscontri su questi aspetti.