Ricatti ai poveri, ex detenuto che lavorava alla Caritas di Chieti a giudizio

E’ accusato di aver estorto soldi a una coppia che chiedeva aiuto perché povera. Coincidenze temporali con l’altro fatto imbarazzante: la chiusura di Mater Popoli

CHIETI. Il silenzio degli innocenti, ma questo non è un film. Il silenzio è quello della Curia verso due vicende imbarazzanti collegate tra di loro da singolari coincidenze di tempo e luogo. La casa Mater Populi Teatina, di via De Lollis, che accoglieva donne e uomini caduti in disgrazia con la società, viene chiusa da monsignor Bruno Forte mentre la procura della repubblica chiude l’inchiesta su un ex detenuto, che in quella casa lavorava in prova e che, prima di Natale, viene arrestato per presunti ricatti. Sempre l’arcivescovo allontana dall’incarico di direttore della Mater Populi il 43enne Mario Olivieri dopo che poche settimane fa una delle sei donne che accusarono l’ex assessore Ivo D’Agostino, facendolo arrestare nel 2013 per lo scandalo delle case popolari in cambio di sesso, si è presentata in Curia per dire che fu Olivieri a costringerla a denunciare D’Agostino ma di aver avuto con lui un’amicizia particolare.

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Ma qualcuno dice che sia solo un piano ordito per far fuori l’ex direttore, in cui ha giocato un ruolo chiave questa donna definita, negli ambienti della Curia, vicina all’ex detenuto che ora la procura accusa di ricatti. Chi è Domenico Di Nicola, 40 anni di Pescina, difeso dall’avvocato Melania Navelli. Per il pm Giancarlo Ciani è un estorsore. Moglie e marito teramani sono le sue vittime. Versano in uno stato di povertà e alla Caritas avevano chiesto aiuto. Ma la coppia, assistita dall’avvocato Manuela D’Arcangelo, in quelle stanze si imbatte in Di Nicola, conosciuto come Mimmo, con precedenti per estorsione e sfruttamento della prostituzione, che don Enrico D’Antonio, direttore della Caritas, chiede in prova.

Il prete lo piazza nel front office dove i poveri si presentano per chiedere vestiti, cibo e sostegno economico. Gli dà un’occasione di riscatto. E gli sta vicino, molto vicino, per evitare che rifaccia errori. Ma sul decreto di giudizio immediato, chiesto dal pm Ciani e fissato per il 3 marzo, leggiamo accuse pesantissime.

E’ il 2 novembre scorso quando Di Nicola viene arrestato in via Spaventa da un maresciallo dei carabinieri che era d’accordo con la coppia teramana. Secondo l’accusa, Mimmo, l’ex detenuto, minacciò A.P. costringendolo ad andare alle Poste centrali per ritirare e consegnargli 600 euro. La vittima si rifiuta e lui, sempre secondo l’accusa, gli strappa dalle mani 400 euro. Facciamo un passo indietro. Dice l’accusa che il 15 settembre, sempre Mimmo, minaccia A.P. di mandargli a casa amici suoi di Riccione se non gli consegna la carta BancoPosta. La vittima lo fa. L’altro, si legge sul capo d’accusa, preleva 600 euro il primo ottobre. E cerca di farlo anche il 2 novembre, ma lo arrestano. Silenzio della Curia su questa storia. E sull’altra in cui spuntano anche sms estratti dal cellulare della donna che, dopo tre anni, accusa Olivieri. Sms, dal contenuto scabroso, in mano al pm Lucia Campo, che la donna, amica di Mimmo, avrebbe scambiato con l’ex direttore della Mater Popoli. Cosa hanno in comune le due storie? Chi è il vero regista, e chi le vere vittime?