il volo di ginoble

L’abbraccio di Montepagano «Gianluca è il nostro asso»

Il borgo delle sue origini in festa per accogliere il cantante di ritorno dal trionfo all’Ariston dove ha festeggiato i suoi 20 anni

di Lalla D’Ignazio

MONTEPAGANO

«Senza più timore te lo voglio urlare questo grande amoreeeee...». Dal finestrino abbassato a metà della Panda che scodinzola nella piazza di Montepagano vengono fuori anelli di fumo e tre o quattro voci stonate quanto allegre che a fatica sovrastano la musica “sparata” dall’autoradio. I ragazzi nell’abitacolo stanno «solo facendo un giro, per festeggiare». E cantano a squarciagola la canzone vincitrice del Festival di Sanremo, «è nostra in fondo», spiegano ridendo e dandosi gran manate sulle spalle. È passato da poco mezzodì e il borgo sulla collina di Roseto degli Abruzzi è apparentemente vuoto e silenzioso. In realtà questo è uno strano lunedì “festivo” a Montepagano: dietro ogni porta c’è qualcuno che prepara qualcosa per accogliere Gianluca Ginoble, il giovane baritono che con i compagni Piero Boschetto e Ignazio Barone, ovvero il trio Il Volo, ha conquistato il 65° Festival di Sanremo con la canzone “Grande amore”.

Così, a fare attenzione, le note di questo brano si sentono da qualche finestra aperta contro il sole pallido, le storpiano quei ragazzi in auto, le canticchia Emiliano, il barista dall’aria rockettara che sta pulendo il suo locale, il bar Berebene che si affaccia sulla scalinata della piazza che stasera accoglierà la festa per Gianluca (articolo nella pagina a fianco), l’insegna sovrastata da uno striscione bianco con il bel viso dell’artista rosetano da un lato, la scritta “Gianluca, il nostro Grande Amore” al centro e l’immagine dei trio sul palco dell’Ariston sull’altro lato. Mentre sulla balaustra che porta ai gradoni c’è un altro striscione, stavolta tutto per il compaesano, con le sue foto su fondo nero e la scritta in inglese giocata con la grafica: we love you, con un grande cuore rosso al posto del “love”.

«Gianluca ha vinto perché lo meritava, e lo dice uno che ascoltava i Clash. Ma quando una voce e un brano sono belli lo sono a prescindere dal genere», osserva Emiliano, indaffaratissimo con la lavastoviglie rotta. «Io non mi vergogno a dire che mi sono commosso, quando apre bocca e canta Gianluca sembra un angelo. È magico. Ed è anche rock. Non è facile alla sua età fare quella musica, mi creda».

[[(Video) L'abbraccio di Montepagano a Gianluca Ginoble]]

Montepagano è un posto speciale per la musica. Da sempre. «Qui c’è un musicista in ogni casa», racconta Francesco Caporaletti, uno degli organizzatori della festa, che arriva con altri amici. «Noi qui al borgo abbiamo la banda dal 1832, quando Roseto era ancora una palude», aggiunge ridendo del suo stesso sfottò campanilista. «Una banda di 50-60 elementi», chiarisce Francesco Di Giulio, altro trentenne al suo fianco, «così capisce bene che in ogni famiglia c’era e c’è qualcuno che suona qualche strumento. E apprezza la musica. Lui poi, Gianluca, è nato immerso nelle note: suo nonno Ernesto è il re della banda. Ma anche suo padre Ercole ci suona il fricorno». «Che sia belcanto o jazz», aggiunge l’altro amico, Riccardo Maggitti, che il jazz pare praticarlo parecchio. «Anche se ascoltiamo musica diversa riconosciamo l’intonazione e le capacità di trasmettere qualcosa di bello».

«La gente ascolta, è quello che deve fare. E se un artista “arriva” ha fatto centro», osserva Simone, tra i principali organizzatori della seratona. «E Gianluca “arriva” proprio. Se ne stanno accorgendo in tutto il mondo», continua, riferendosi ai mille successi oltreoceano del trio Il Volo. «E lui non si è neanche montato la testa. Quando torna dalle tournèe ci vediamo sempre, andiamo a giocare a calcetto». «Qui gli vogliamo bene tutti, pensi che ieri abbiamo messo la cassetta per raccogliere soldi per la festa e in poche ore c’erano già mille euro...», sottolinea Simone. «La musica unisce».

«Certo ha avuto una adolescenza diversa, perché sin da piccolo è impegnato a studiare, anche se era un asso anche nel calcio, ma ha dovuto scegliere», racconta Marco, detto Lo sciarrone, il barbiere di Gianluca: «Ci tiene a quel ciuffo», scherza, «e mentre taglio non sta mai fermo, non ci riesce». Colletta per la musica e per brindare, mentre alle bontà da mangiare ci hanno pensato le signore del paese. Qui le porte non sono chiuse, basta un colpetto di nocca sul legno per entrare: «Sì sto cucinando per Gianluca, entri entri». La signora Teresa è ai fornelli dalle prime ore della mattina e ha sfornato dolci profumatissimi. «Ho fatto i tronchetti cioccolato e mandorle, la torta di noci e le crostate, ma di là stanno preparando peperoni e uova, pizzonte, torte rustiche... Se lo merita Gianluca», assicura, guardando tenera la foto del giovane che ha sul camino insieme a una sciarpa da ultrà per il trio. «E’ bravo e anche buono e generoso. Ha ospitato i miei nipoti a New York per il suo concerto, gli ha pagato il biglietto. Credo che abbia piacere di avere vicino noi del paese».

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Si sente il rumore di un’auto fuori. «È lui? Sì è lui, lasciatelo stare che sarà stanco». Papà Ercole al volante della Bmw nera infila lesto la viuzza di casa e Gianluca rivolge giusto un cenno sorridente di vittoria prima di infilarsi nel portone. «È distrutto, deve dormire un po’ che sono stati giorni impegnativi», prega il padre mentre scarica le valige. Contento? «Direi di sì, anche se siamo abituati a premi come i Billboard Awards per la musica latina a Miami, il Tumundo», elenca con un pizzico di orgoglio. «E poi a cene di gala con Clinton, Alberto di Monaco... Qui in Italia non è ben chiaro che la nostra musica nel mondo è questa, il belcanto, che all’estero ci rappresenta come la moda e il cibo. È la nostra forza». Lei ci ha sempre creduto in Gianluca vero? «Sempre. Vedevo e sentivo le potenzialità e capivo la passione. Non volevo che un mattino come questo si alzasse e dicesse: non ho potuto... Con rimpianto. Mio figlio doveva provare a fare ciò che voleva, per me questo è importante». Anche nel calcio dicono che se la cavasse bene. Sul volto di Ercole Ginoble si allarga un sorriso grande fiero: «E sì, ma quella è un’altra storia».

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