il commento

Casa dello studente, ora L'Aquila chieda perdono

La Cassazione conferma le condanne alle persone, ma la sentenza tira in ballo una città che si vantava di essere universitaria

La sentenza della Cassazione sul crollo della casa dello Studente stabilisce delle responsabilità penali che per definizione sono personali. Oggi sappiamo che gli otto ragazzi deceduti sotto le macerie potevano salvarsi se qualcuno fosse stato più attento e professionale. Ma la sentenza tira in ballo anche tutti gli aquilani.

In questi anni nessuno, dalla Regione, al Comune, all’Ateneo (attraverso i propri rappresentanti) ha chiesto perdono ai familiari delle vittime. Il capoluogo d’Abruzzo prima del 2009 si vantava di essere una città universitaria fra le più importanti in Italia. Tanti giovani ci avevano creduto, ma 55 di loro non sono più tornati a casa. Una vergogna per L’Aquila e per chi l’ha governata negli ultimi 50 anni.

Una vergogna che una sentenza non può cancellare.

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I quattro condannati in via definitiva hanno certo le loro colpe, ma tutti noi dovremmo essere accusati di favoreggiamento, per aver chiuso gli occhi davanti agli affitti in nero, per aver ospitato i ragazzi in catapecchie pericolanti in nome del dio denaro, per aver ignorato gli allarmi sulla stabilità di molti edifici, per non aver mai detto in questi 7 anni: forse sì, abbiamo sbagliato.

La sentenza di ieri stabilisce una verità giudiziaria, ma non può lavare la coscienza di un’intera città. Quanto sarebbe bello se nei prossimi giorni il presidente D’Alfonso, il sindaco Cialente e la rettrice Inverardi (in quanto rappresentanti oggi delle istituzioni), facessero un atto di umiltà davanti a quella casa distrutta! Un inchino, una parola.

Per dire: perdonateci, promettiamo che non accadrà mai più.

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