l'inchiesta

Film e gossip, Chiodi confidò: «Ecco chi vuole screditarmi»

L’ex presidente della giunta regionale agli investigatori fece i nomi di D’Alfonso, Toto e Pierangeli con il presunto movente: «Mi odiano per rivalità politiche e i tagli alle cliniche»

L’AQUILA. Dossieraggio e gossip, esecutori materiali e mandanti, sensali d’ogni risma, starlette e aspiranti tali. Corna vere o presunte. E politici talmente timorosi di mantenere quanto più immacolata possibile la propria reputazione, specie a ridosso del voto – vedi le Regionali 2014 – che prima si fanno avvicinare dai mediatori e ascoltano le loro “proposte”. Poi, non appena sentono puzza di bruciato, raccontano tutto agli investigatori, scappatelle comprese. Questo il quadro della storia da ombrellone venuta a maturazione, chissà come, sotto il sole di Flegetonte. Già, perché l’inchiesta che vede coinvolti – in due filoni separati che la Procura della Repubblica ha tenuto insieme nell’avviso di chiusura – Gianfranco Marrocchi, 60 anni di Pescara, residente a Lucoli editore di Tv Più e dirigente del settore marketing dell’Aquila calcio; il regista Giovanni Volpe, 59, di Battipaglia (Salerno); Raimondo Onesta, 40, di Roma, ma residente a Pratola Peligna e Marco Minnucci, 29, di Fermo ma residente a Porto San Giorgio è stata chiusa a marzo. Quattro mesi fa. Dunque, sono maturi i tempi per le richieste di rinvio a giudizio.

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UNA STORIA CHE SCOTTA. Sarà per il tempo trascorso, sarà per l’argomento trattato, quello dei tentativi di estorsione per filmati e foto asseritamente compromettenti in quanto attinenti alla sfera privata e alle frequentazioni personali, ma l’indagine scotta per davvero. Scotta per i nomi coinvolti, per i tanti tirati in ballo tra una millanteria e l’altra, sempre sul filo del pettegolezzo, e pure per lo scenario di fondo: la battaglia politica trasferita nelle camere da letto. Allora, accendete il ventilatore e metteteci sopra una bella palata di fango. Tanto così, per vedere l’effetto che fa.

«ECCO CHI MI ODIA». E così, accade che un giorno di marzo l’ex presidente della giunta regionale Gianni Chiodi chieda di incontrare due investigatori dentro il palazzo della Regione per raccontare loro i presunti mandanti dell’operazione di danneggiamento nei suoi confronti rappresentata dall’uscita di un film-documentario sul caso-Marinelli. Ovvero “Una camera per due”, il kolossal che intendeva, almeno nelle intenzioni, raccontare l’incontro romano tra il politico e Letizia Marinelli in un albergo di Roma, a spese della Regione. Chiodi racconta agli investigatori di essere stato contattato da Onesta, il quale gli avrebbe riferito che c’erano due persone, Marrocchi e Volpe, intenzionate a produrre un film sul suo incontro con la consigliera Marinelli. Lo scopo era quello di conoscere i mandanti dell’azione diffamatoria. Chiodi stesso confida agli investigatori che la campagna denigratoria sarebbe stata orchestrata, udite udite, dal suo avversario politico Luciano D’Alfonso, dall’ex parlamentare Daniele Toto e dal proprietario della casa di cura privata Pierangeli. Ma c’è di più. Chiodi individua anche il “movente” quando dice: «Mi attaccano perché ho tagliato i soldi alle cliniche private». Quando gli investigatori lo invitano a firmare una denuncia-querela l’ex presidente della Regione afferma di aver appreso queste notizie «da terze persone». Tuttavia il presidente della Regione si dice «preoccupato» per le «velate estorsioni».

IL GRAN RIFIUTO. Ben poco ha a che fare con quello dantesco, ma pur sempre di rifiuto si tratta. E venne, infine, il giorno in cui la Marinelli disse che «no, grazie, il film “a luci rosse” non m’interessa».

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