L'ingresso del Traforo del Gran Sasso, autostrada A24

Acquedotto Gran Sasso, Lolli: «Un sistema mal concepito»

Il vicepresidente della giunta regionale ammette: c'è un problema serio, acqua soggetta a contaminazioni e interferenze

L’AQUILA. L’acquedotto del Gran Sasso ha un problema, non è impermeabilizzato adeguatamente e questo ha provocato in passato dei casi di contaminazione, seppur sotto la soglia della legge. Dalle analisi si è certificato che non sono stati rilevati problemi circa la potabilità, ma il rischio che la situazione possa sfuggire di mano sono dietro l’angolo. Per questo motivo il Tavolo permanente di monitoraggio dell’acquifero del Gran Sasso presieduto dal vicepresidente della Regione, Giovanni Lolli, che si è riunito ieri, ha deciso di prendere di petto il problema dopo l’emergenza acqua che ha interessato il Teramano.

Il vice presidente della giunta regionale d'Abruzzo Giovanni Lolli

Vicepresidente Lolli, ma è possibile che vi siano problemi di impermeabilizzazione?
«C’è un problema serio e cioè che siamo di fronte a un sistema costituito da autostrada, laboratorio e acquifero mal concepito all’inizio, nel senso che quando si è costruita l’autostrada alcuni decenni fa gli operai si trovarono di fronte a una colonna d’acqua imponente, alta 6-700 metri, che sono stati costretti a rimuovere, altrimenti avrebbe impedito il proseguimento dei lavori. Così la convogliarono sotto l’autostrada con un tubo. Successivamente venne realizzata l’autostrada e fu costruito il Laboratorio di fisica nucleare del Gran Sasso. A quel punto, quest’acqua del tubo è stata captata prima dal Ruzzo a Teramo e poi all’Aquila. Insomma, l’acqua si trova sotto l’autostrada e sotto il laboratorio e quindi questo è un sistema che inevitabilmente può essere sottoposto a contaminazioni e interferenze. Tenete presente che i tubi dentro cui scorre l’acqua non sono concepiti per captare acqua, perché sono di cemento. Non hanno la necessaria impermeabilizzazione».
Si sono già verificati episodi pericolosi. Come è potuto avvenire tecnicamente?
«Il Laboratorio è dotato di un suo sistema di smaltimento e depurazione assoluto. Il problema non è l’acqua che esce dallo smaltimento, è il sistema che è dentro una montagna. Voi immaginate le pareti del laboratorio: sono umide, l’acqua filtra, la captazione sta sotto il pavimento e una parte di questo filtraggio inevitabilmente finisce nella captazione. Il pavimento è stato schermato, ma fin quando c’è un tubo che passa sotto e soprattutto se questo tubo è di cemento e con una certa porosità, il problema non lo risolverai mai. E’ l’evaporazione che poi decade, filtri o non filtri».
Quindi, ci sono rischi per la salute pubblica?
«Andiamo per ordine. Noi ci stiamo muovendo su tre direttrici. La prima è la prevenzione di ogni possibile attività rischiosa da parte di Strada dei Parchi e Laboratorio. Entrambi hanno un rapporto convenzionale con le Asl, ma oggi abbiamo deciso di stilare un protocollo che prepareremo noi e che sottoporremo a loro. Qualunque intervento possa avere un carattere di rischio non può essere eseguito senza ottenere una autorizzazione da parte dell’Arta e delle due Asl. Certo, non partiamo da zero perché Strada dei Parchi è già vincolata, ma attenzione perché sento dire che se si rovescia un camion di veleni la conseguenza sarebbe la contaminazione dell’acquedotto. Voglio che si sappia: un camion di veleni non può passare su questa autostrada, che è interdetta a qualunque transito di materiali pericolosi. Qualora, per rifornire il Laboratorio, dovesse transitare un camion di quella tipologia dovrebbe farlo seguendo una precisa procedura».

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Qual è la seconda direttrice?
«Il sistema dell’allerta e dei controlli. Essi avvengono anche oggi, ma il difetto sapete qual è? Che controllano, studiano e poi forniscono una risposta entro quattro, cinque giorni. Noi abbiamo bisogno di tempi veloci ed esiti immediati. Il Laboratorio del Gran Sasso, per esempio, ha acquistato un secondo spettrometro di massa, un apparato raffinatissimo che si aggiunge a quello che già ha. Noi però abbiamo dato incarico a i due gestori, insieme, di fare una ricerca e una proposta per l’acquisto di strumenti più avanzati possibile che dovranno ricercare tutte le possibili contaminazioni organiche o chimiche e, in tempo reale, segnalarle per consentire la chiusura immediata dell’erogazione. Strumenti che poi faremo certificare dalle due Asl e dall’Istituto superiore di sanità. La prossima riunione avverrà con le loro proposte e con i costi. Non deve esserci tempo di latenza tra l’allerta e lo scarico. A quel punto applicheremo la legge: se saremo sotto un certo parametro l’acqua sarà potabile, punto. Altrimenti, si correrà ai ripari».
Non sembrano, però, interventi risolutivi.
«E infatti, è il terzo punto quello più significativo. Il Laboratorio ha dato incarico al professor Roberto Guercio, che già fece uno di studio in precedenza, un luminare assoluto, che ci presenterà uno studio in grado di risolvere definitivamente il problema del Laboratorio. Attualmente, l’acqua si capta in più punti e i tubi passano sotto il Laboratorio per due volte. Lo studio è volto a trovare un altro sistema di captazione, della stessa dimensione, ad altezza e non sotto il pavimento e soprattutto convogliata in un tubo di inox. All’Autostrada abbiamo chiesto un’azione analoga. Noi li analizzeremo e li faremo verificare da terzi».
Che costi avranno questi interventi?
«È possibile che siano pesanti dal punto di vista finanziario ma qui ci viene in soccorso il fatto che le leggi nel frattempo sono cambiate, è stato riorganizzato il ciclo integrato delle acque, c’è una nuova governance dell’Italia centrale, di cui noi facciamo parte,. C’è un segretariato il quale deve valutare le emergenze nazionali e su quelle intervenire anche con risorse dello Stato. Noi siamo convinti che qui siamo di fronte a un’emergenza nazionale. Sono tre enormi beni preziosi che non appartengono solo agli abruzzesi: l’acqua, un’autostrada che serve un pezzo di Italia e un Laboratorio di ricerca che è il più importante del Paese. Stiamo impostando tutto autonomamente, ma quando avremo precisato l’intervento strutturale necessario, come avvenuto in passato, chiederemo che lo Stato partecipi».

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