Carceri in Abruzzo, risse e aggressioni: «Sistema al collasso» 

Da Sulmona a L'Aquila la polizia penitenziaria impegnata negli otto istituti di pena abruzzesi marcia su Roma

PESCARA. In testa alla lista c’è certamente il caso di F.R., sovrintendente di polizia penitenziaria nel carcere di Pescara, aggredito dal detenuto-pugile che gli ha quasi staccato la mandibola (vedere articolo a fianco). Ma per quanto violenta e sorprendente, la storia è solo una delle tante che si consumano quotidianamente tra le mura dei penitenziari. In un anno, sono infatti ben trecento gli episodi di violenza registrati nelle otto carceri abruzzesi. Risse, aggressioni e suicidi in celle sovraffollate. A dimostrazione che dietro le sbarre è ormai un inferno. Tanto che ieri, quella che doveva essere una festa per celebrare i duecento anni della polizia penitenziaria si è trasformata in una marcia su Roma. Dove gli agenti abruzzesi hanno sfilato a Montecitorio davanti a cittadini e parlamentari per urlare la loro protesta.

leggi anche: Il numero di agenti e detenuti nelle carceri abruzzesi «Così il detenuto-pugile mi ha rotto la mandibola»  Colpito da un montante destro che lo ha costretto a cinque mesi di cure e dolore  Sovrintendente del carcere di Pescara parla del dramma che gli ha segnato la vita

COME ERGASTOLANI. La protesta di chi si sente condannato all’ergastolo. Una vita passata dietro le sbarre come e più di quanto può accadere a un detenuto che, prima o poi, comunque uscirà da quell’inferno. Per questo gli operatori carcerari protestano. Riproponendo un interrogativo drammatico: che cosa succede infatti dentro quelle mura? Perché aumentano le aggressioni, le risse, gli insulti, ma anche gli sputi, il lancio di feci ed urine contro gli operatori penitenziari? Gli agenti diminuiscono sempre di più mentre il numero dei detenuti cresce. E’ un vortice che rischia di esplodere. Un’emergenza fatta di numeri, di grandi numeri.

I CONTI NON TORNANO. Eccoli in breve: 1.840 detenuti abruzzesi rinchiusi in spazi che ne dovrebbero contenere 246 in meno. Vigilati da 1.106 agenti di polizia penitenziaria che non ce la fanno più a contenere rabbia e violenza. Sono 165 in meno rispetto alle piante organiche. Così a Pescara accade che quel pugile sferri il pugno che stacca la mandibola al sovrintendente. Oppure al Castrogno di Teramo ecco il detenuto di 52 anni che si impasticca di psicofarmaci, si taglia le vene e spruzza il sangue, forse infetto, su due agenti. Ne prende a pugni uno, e ferisce l’altro. O, ancora, a Sulmona: dove un pentito, appena trasferito nel supercarcere , si ammazza per disperazione.

Il numero di agenti e detenuti nelle carceri abruzzesi

CASI CHOC. Casi drammatici. E sono appena tre dei trecento episodi di violenza registrati in un anno in Abruzzo. Gli ultimi di una lunga e tragica serie. Che portano i sindacati ad accusare la politica di essere al solito avara in tema di nuovi arruolamenti. Per questo arriva il grido di dolore. Per bocca di uno dei più rappresentativi addetti ai lavori. «Il sistema è al collasso», esordisce infatti Mauro Nardella, vice segretario della Uil Pa polizia penitenziaria Abruzzo, che ieri era a Roma con i colleghi della regione. E che al Centro offre un’analisi che aiuta a capire perché le nostre carceri sono ormai un inferno. Nardella parte dalla “Torreggiani”, la sentenza della Commissione europea dei diritti dell’uomo che ha accolto il ricorso di un detenuto, ritenendo vessatorio l’essere costretti a scontare la pena in carceri con spazi angusti. Da quella sentenza si è scatenato un effetto a catena. Dalle depenalizzazioni di alcuni reati, al maggior ricorso a misure alternative e, soprattutto, all’innovazione dell’istituto della sorveglianza dinamica. Che dà ai detenuti la possibilità di circolare liberamente lungo i corridoi e che trasforma le celle in camera di pernottamento. Bella riforma che però ha fatto esplodere gli episodi di violenza. Il caso del sovrintendente di Pescara è accaduto per questo motivo.

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L’IMPENNATA. «Nessuna delle realtà abruzzesi è stata risparmiata dall’impennata. Dalla metà del 2016 fino ad oggi si sono verificate 12 risse, 19 ferimenti, 172 casi di autolesionismo, 10 casi di tentativi di suicidio, e il suicidio di un pentito poco più di una settimana fa a Sulmona», sottolinea Nardella, «la Uil sta conducendo una battaglia che vorrebbe veder chiuso il reparto collaboratori ritenuto incompatibile con gli altri detenuti, molti dei quali condannati all’ergastolo proprio dai collaboratori di giustizia». Ma la rabbia esplode dietro le sbarra anche sotto altre forme: 213 sono stati i casi di proteste individuali manifestate con lo sciopero della fame; 1.524 i rifiuti di vitto e 58 i casi di percussioni sbarre. Ma nelle statistiche del Ministero non vengono contemplate le conseguenze subìte dai poliziotti. «Ai casi critici legati alla sorveglianza dinamica dobbiamo aggiungere l’escalation di violenza di soggetti psicotici», denuncia Nardella, «in Abruzzo non si contano più i detenuti malati di mente provenienti dagli ex Opg, ospedali psichiatrici giudiziari».

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PAZZI CRIMINALI. Anche loro finiscono tra i detenuti comuni, perché le Rems (residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza), che hanno sostituito gli ospedali psichiatrici giudiziari, non bastano per tutti. «Mentre nelle carceri manca il prezioso contributo degli operatori adeguatamente formati che esistevano negli Opg», sbotta il sindacalista.
TUTTO UN MENO. Insomma, le carceri abruzzesi hanno tutte un segno meno. Sulmona a fronte di 274 poliziotti ne conta 246; L’Aquila ne ha 24 in meno (184/208), così come Lanciano 26 (137/163), Pescara 25 (153/178), Chieti 13 (68/81), Avezzano 4 (43/47) e Vasto 13 (102/115). Maglia nera è Teramo con 40 agenti in meno (175/205). Numeri che sommari trasformano in inferno la vita dietro le sbarre. Dove detenuti e agenti scontano insieme la loro pena.

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