Hotel Rigopiano, «Farindola non piange Stefano»

Lo sfogo della mamma di Feniello: «Mio figlio è morto per contribuire all’economia di quel paese»

FARINDOLA. «Oggi piangono l'economia, dicono di aver subito un danno. Io, invece, lacrime non ne ho più, ho solo un dolore immenso per aver perso Stefano, ucciso da chi, anziché pensare all'incolumità della gente, ha pensato solo all'economia di Farindola». Lo afferma Maria Perilli, madre di Stefano Feniello, una delle 29 vittime della tragedia dell'hotel Rigopiano, criticando duramente le istituzioni.

leggi anche: Il nome di Stefano per errore tra i superstiti: la famiglia presenta l’esposto in procura I familiari di una delle 29 vittime della tragedia del 18 gennaio scorso hanno presentato un esposto in Procura nei confronti del prefetto di Pescara, di una funzionaria della prefettura e del sottosegretario alla Giustizia Federica Chiavaroli

«Dopo il funerale di Stefano», scrive la donna in una lettera aperta, «ho sentito dire che Farindola e i suoi amministratori sono tristi perché questa tragedia è stata un duro colpo per l'economia del paese. Ecco, proprio quell'economia che mio figlio era andato ad alimentare con quella vacanza, quell'economia che oggi dicono è stata uccisa, ha contribuito a uccidere mio figlio. A causa di quell'economia», prosegue, «a Stefano è stato assicurato che c'erano le condizioni per andare a Rigopiano, gli è stato detto di stare tranquillo, la strada è sempre pulita, non ci sono problemi. Ma la strada non era pulita; quando è arrivato la stavano pulendo, ha dovuto aspettare che lo spazzaneve finisse di pulirla e poi, scortato dal sindaco di Farindola, che gli faceva strada, è salito fino alla sua tomba. Hanno pensato all'economia, a far salire quelle povere persone, a portarle su, a garantire che l'incasso dell'hotel fosse salvo».

«Il 17 gennaio, il giorno del compleanno di Stefano, l'ho salutato prima che andasse a prendere Francesca per andare in montagna a festeggiare con lei. L'ho salutato dicendogli le solite cose che una mamma dice al proprio figlio quando si allontana», racconta la donna, «Non potevo immaginare che quella sarebbe stata l'ultima volta che lo avrei visto e che, dopo più di un mese, mio figlio sarebbe tornato a casa dentro un'urna che raccoglie le sue ceneri».

«Questo, oggi, è Stefano: cenere. Ora sta a casa, ma non posso più abbracciarlo, baciarlo e guardarlo negli occhi. Posso solo guardare la sua foto, dove continua a sorridere, come faceva sempre. Io invece», sottolinea Maria Perilli, «non sorrido più, ho perso la voglia di andare avanti e non faccio altro che pensare a quel giorno maledetto in cui è uscito dalla porta di casa per non tornarci più. Anzi, per tornarci solo dopo più di un mese, dentro l'urna che contiene ciò che è rimasto di lui». «Ringrazio il sindaco di Farindola, che si è preoccupato di aiutare Stefano e tutte le altre persone affinché arrivassero in hotel, e non si è posto il problema di come quelle stesse persone sarebbero potute andare via il giorno dopo. Mi dicono che non era la prima volta che quell'hotel rimaneva isolato, che era già accaduto. Quindi, grazie. Ringrazio il presidente della Provincia di Pescara, che ha lasciato che su quella strada maledetta si accumulasse tutta quella neve senza fare nulla per pulirla. Ringrazio il prefetto di Pescara, che per una notte mi ha fatto credere che Stefano era vivo e che lo avrei abbracciato ancora, e invece mi ha illuso, rendendo questo incubo ancora più atroce. Stringo le ceneri di mio figlio e li ringrazio», conclude la mamma di Stefano.