Pescara, scarcerata la donna accusata di aver avvelenato il marito

Daniela Lo Russo ai domiciliari in Puglia. Il giudice: «Può farlo ancora». Si stringe il cerchio intorno al quarto complice che partecipò al pestaggio

PESCARA. Dopo oltre quattro mesi trascorsi in carcere, Daniela Lo Russo, 42 anni, ha ottenuto gli arresti domiciliari, che sta trascorrendo nella casa di famiglia, a San Ferdinando di Puglia. Le porte della casa circondariale di San Donato si sono aperte il 2 dicembre, per la donna arrestata il 23 luglio scorso dai carabinieri con l'accusa di tentato omicidio nei confronti del marito. Con lei, in carcere, era finito anche il figlio 22enne, Michele Gruosso: i due avrebbero messo in atto un piano finalizzato ad uccidere il marito di lei, un piccolo imprenditore di 52 anni, attraverso la ripetuta somministrazione di dosi massicce di un farmaco anticoagulante, il Coumadin, in grado di provocare emorragie interne.

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Insieme a questo medicinale sarebbe stato somministrato all'uomo, sempre a sua insaputa, anche uno psicofarmaco, per ridurre il 52enne in stato confusionale, stando a quanto sostiene l'accusa. Gruosso, difeso dall'avvocato Antonio De Michele, ha ottenuto i domiciliari nel mese di ottobre mentre per la madre, difesa dall'avvocato Giancarlo De Marco, la richiesta di concessione dei domiciliari è stata presentata tre volte, prima di essere accolta dal giudice per le indagini preliminari Gianluca Sarandrea. Per il gip esistono ancora le esigenze cautelari nei confronti della Lo Russo così come permane il pericolo di «reiterazione di condotte della stessa specie». Ma le esigenze cautelari sono «in parte affievolite», sostiene il gip, per effetto della lunga permanenza in carcere. Il sostituto procuratore che ha coordinato le indagini, Rosangela Di Stefano, ha invece espresso parere negativo sull'istanza di De Marco.

Nell'inchiesta anche Edwin Andrey Mosquera Zabala, un colombiano di trent'anni di Silvi accusato di lesioni personali perché il 10 luglio avrebbe aggredito, con un complice, il marito della Lo Russo, con la promessa di 400 euro, usando delle mazze da baseball. Il trentenne, finito ai domiciliari, è tornato in libertà alla fine di ottobre (lo difende l'avvocato Alessandro Arienzo) mentre non si è mai fermata, dopo gli arresti, l'attività di indagine dei carabinieri del Nucleo operativo e radiomobile per identificare il secondo aggressore entrato in azione il 10 luglio con il colombiano.

Che qualcosa non andasse è emerso durante il ricovero in ospedale del 52enne: le cure dei medici si sono rese necessarie a più riprese, da marzo a luglio, ma i valori del sangue (per quanto riguarda i livelli di coagulazione) non miglioravano, nonostante i trattamenti a cui era sottoposto, per cui sono stati sollecitati gli esami del centro antiveleni di Pavia. E ora, con una perizia affidata dal pm al medico legale Cristian D'Ovidio, si punta a chiarire la reale pericolosità dei farmaci somministrati alla vittima nell’ambito del piano messo in piedi da madre e figlio. All'epoca gli uomini dell'Arma stavano indagando su un’aggressione subita dalla Lo Russo e, ascoltando le sue conversazioni telefoniche, hanno capito che si accordava con il figlio per somministrare il Coumadin al marito, anche mentre il malcapitato era in ospedale, e hanno ricostruito i contatti tra Gruosso e il colombiano per il pestaggio. Incrociando tutte le informazioni hanno composto il quadro.

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