"Tariffe per i sacramenti? A Pescara solo offerte libere"

I parroci pescaresi escludono che esistano prezziari per matrimoni o battesimi «Anzi, siamo noi a dare un contributo ai cittadini più poveri specie per i funerali»

PESCARA. Altro che prezziario sottoposto dai parroci ai fedeli per celebrare un sacramento, come un matrimonio o un battesimo. A volte accade proprio il contrario, ossia che siano i parroci stessi a porgere un’offerta ai fedeli, proprio per poter dare una mano alla realizzazione della celebrazione.

Ne sanno qualcosa, tra gli altri, i parroci di San Pietro martire, don Massimo De Luca, che opera nel cuore di Fontanelle, e il parroco della cattedrale di San Cetteo, don Francesco Santuccione. Dunque nessuna tabella, nelle chiese di Pescara, quel listino esecrato due domeniche fa da papa Francesco, durante l’omelia a Santa Marta, la sua residenza, nella quale si era scagliato contro quei sacerdoti che richiedono un pagamento per la celebrazione di un sacramento.

«A volte a me capita», racconta don Max, al vertice della chiesa più antica di Pescara (non di Castellammare, in quanto quella è la cappella della questura, in via Pesaro), del 1600, «di essere noi a dare un contributo alle persone più disagiate, proprio per permettere loro lo svolgimento di un funerale o altro».

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Ma don Max si mostra soddisfatto se in alcuni casi, in particolari chiese, a degli sposi si chiedono dei contributi non irrilevanti. «Sono contento», rimarca lui che è abituato ad agire nella povertà giorno per giorno, «che se qualcuno sceglie di sposarsi in una chiesa che abbia alto valore artistico, si chiedano anche 800 euro». Idem da don Santuccione, in quanto alle offerte «rovesciate» per poter celebrare un sacramento.

«A volte è successo», ha raccontato il parroco, «di fare un’offerta ad alcuni fedeli, sia per quanto riguarda i battesimi, sia per quanto riguarda i matrimoni. Poi c’è anche qualcuno che pensa», aggiunge il parroco di San Cetteo, «che se una celebrazione non viene pagata, non abbia allo stesso tempo valore. Ma noi gli spieghiamo che non è così e che il denaro non serve proprio, per ricevere un sacramento. Per il resto», continua, «noi non imponiamo nulla. Ma tutte le offerte sono libere, vanno nella cassa parrocchiale e sono destinate ad affrontare le spese che deve sostenere la chiesa».

Chi invece non solo non chiede, ma neanche viene a conoscenza di quanto offerto dai fedeli per una particolare celebrazione, è don Ignazio Buffa, parroco della chiesa di Cristo Re. «Noi abbiamo una cassetta nella sacrestia e chi vuole fa un’offerta lì», fa notare padre Buffa, gesuita come papa Bergoglio. «E noi lì troviamo di tutto. Banconote da cinque euro, da dieci o altro. Quindi noi non solo non chiediamo nulla, ma neanche sappiamo quanto quello o questo eventualmente diano. Poi dipende anche dal rapporto che si ha tra parroco e fedeli, nel quale questi ultimi sanno di ciò di cui quella particolare parrocchia ha bisogno». «Qualche telefonata, due o tre, volta a sapere se per una celebrazione c’erano delle indicazioni, mi è arrivata», rammenta don Vincenzo Amadio, parroco della chiesa di San Pietro apostolo, nonché vicario dell’arcivescovo Tommaso Valentinetti, «ma mai nessuno,negli ultimi due anni, mi ha telefonato per lamentarsi per questioni di questo tipo», osserva don Amadio nella veste di vice Valentinetti, mettendo in risalto che, tuttavia, «la diocesi ha dato anche delle indicazioni sull’argomento».

Nella sua veste di parroco, don Amadio fa poi notare che, di soldi richiesti, nella sua parrocchia, per delle celebrazioni, «neanche a pensarci. La gente sa però che abbiamo bisogno e quindi fa delle offerte libere». Lo stesso dal parroco della basilica dei Sette dolori, padre Vincenzo Di Marcoberardino. «Le offerte sono libere», sottolinea, «e se qualcuno non offre niente, noi celebriamo lo stesso. Però, ad esempio, l’organista ha i suoi costi, e di conseguenza l’offerta per un matrimonio si aggira intorno ai cento euro. E comunque, tutto quello che riceviamo viene impiegato per le spese della chiesa».

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