l'interrogatorio

Tentato omicidio: «Curavo mio marito, non l’ho avvelenato»

Daniela Lo Russo si difende per un’ora davanti al giudice e respinge tutte le accuse: «Non è vero che l’ho fatto pestare»

PESCARA. «Non ho avvelenato mio marito e non c'entro nulla con l'aggressione messa a segno dal colombiano che non conosco. Sono innocente, non ho fatto nulla». Si è difesa così Daniela Lo Russo - accusata con il figlio Michele Gruosso, 22 anni, del tentato omicidio del marito attraverso la somministrazione di alti dosaggi di Coumadin, un anticoagulante che avrebbe dovuto provocare delle emorragie interne letali - ieri mattina nell'interrogatorio di garanzia di fronte al pm Rosangela Di Stefano e al gip Gianluca Sarandrea. La 42enne pugliese si è presentata in aula poco dopo le ore 11 accompagnata dal suo nuovo difensore, l'avvocato Giancarlo De Marco che ha preso il posto di Leonardo Casciere per l'incompatibilità tra il suo assistito, il figlio della donna, e la Lo Russo.

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In un interrogatorio durato circa un'ora la donna, oltre a riferire dei continui ricorsi al pronto soccorso e del ricovero del marito, si è detta estranea ai fatti contestati, di non aver mai né conosciuto né parlato con il colombiano che ha pestato il marito fuori dalla sua casa a Spoltore. Ha anche aggiunto che il Coumadin presente in casa era quello che lei stessa assumeva per i suoi problemi al cuore e ha confermato la prenotazione di una visita con un professore dell'Università Tre di Roma per i problemi di salute del marito 52enne. Come riferito dal suo legale, la donna in aula non avrebbe speso nemmeno una parola nei confronti del figlio che aveva scaricato le colpe del piano omicida su di lei. «La mia assistita», dice De Marco, «ha fornito la sua versione dei fatti e ha detto al gip di non aver fatto nulla. Non sa assolutamente nulla del Coumadin. Inoltre la sussistenza del reato credo che sia ancora tutta da verificare e accertare, non credo che la donna avesse i mezzi per metterlo in atto. Seppure fosse vero che ci siano degli elementi che inchiodano la mia cliente, bisogna capire se quel farmaco possa portare alla morte. Lei ha detto la verità ed è stata molto convincente». L'avvocato, che riferisce come la 42enne sia molto provata, abbattuta e demoralizzata, anche perché ha lasciato una figlia di 14 anni, ha presentato al Riesame una richiesta per ottenere i domiciliari per motivi di salute. Aggiunge Casciere: «Il Coumadin non è certo che possa portare alla morte e lo dimostrerò con la consulenza di un professore universitario che depositerò al Riesame. Inoltre quando un farmaco non è capace di portare alla morte non è tentato omicidio. Di certo non può essere considerato tentato omicidio. Per me c'è una falla di fondo nel quadro accusatorio provocato dalla fretta di arrestare». «Scaricabarile totale», dice Alessandro Arienzo, difensore di Edwin Andrey Mosquera, il 30enne colombiano, che ha chiesto la revoca dei domiciliari, «ogni indagato fa le sue dichiarazioni, al processo usciranno le verità che la procura riuscirà a trovare. Spesso accadono queste cose, con posizioni che non coincidono».

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