I giudici di Teramo: per Robimarga non c’è prova di peculato

Le motivazioni della sentenza d’appello che ha dimezzato la pena per il medico: «Manca la convenzione con la Asl, solo dichiarazioni poco chiare ed ambigue»

TERAMO. Per i giudici d’Appello non si può ravvisare il peculato «giacchè in assenza di prove documentali, come l’eventuale convenzione con la Asl di Teramo e in presenza di dichiarazioni dell’imputato poco chiare ed ambigue sul punto, non è possibile ritenere che quest’ultimo fosse stato autorizzato all’attività intramuraria e, conseguentemente, ritenere sussistenti le contestate ipotesi di peculato». E’ in questo passaggio delle 13 pagine di motivazioni che i magistrati aquilani hanno cancellato il reato di peculato riformando parzialmente la sentenza di primo grado per Corrado Robimarga, urologo del assessore comunale del Pdl accusato dalla procura di aver fatto visite a pagamento in ospedale senza versare il dovuto alla Asl, di essersi assentato dal lavoro presentando falsi documenti alla Asl che attestavano la sua presenza negli uffici comunali come assessore.

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La Corte d’appello ha confermato la truffa e il falso, dimezzando la pena ad un anno e otto mesi. «Il medico ospedaliero che si fa dare direttamente una somma di denaro per effettuare un esame, lasciando intendere che la somma sarà versata all’ospedale», si legge nelle motivazioni, «non risponde del reato di peculato perchè l’agente non possiede detta somma per ragioni d’ufficio, ma risponde del reato di truffa aggravata in danno all’amministrazione ospedaliera, giacchè il medico ha indotto in errore il paziente facendogli credere che egli poteva eseguire subito, anche senza impegnative e prenotazione, la visita facendosi poi corrispondere il denaro che avrebbe dovuto, invece, essere versato all’amministrazione ospedaliera».

Robimarga in primo grado era stato condannato a tre anni ed otto mesi. I giudici aquilani (presidente del collegio Aldo Manfredi, a latere Armando De Aloysio e Maria Gabriella Tascone), oltre a sospendere la pena, hanno eliminato le sanzioni accessorie della sentenza di primo grado: l’interdizione dai pubblici uffici e l’estinzione del rapporto di lavoro per il dipendente pubblico. Dopo il pronunciamento dei giudici il medico è tornato in servizio all’Asl. Dopo la sentenza di primo grado, infatti, l’azienda sanitaria teramana aveva applicato la legge numero 97 del 27 marzo 2001, quella che all’articolo 4 stabilisce che «nel caso di condanna, anche non definitiva, ancorchè sia concessa la sospensione condizionale della pena, per alcuni dei delitti previsti dall’articolo 3 (il peculato (ndr), i dipendenti indicati nello stesso articolo sono sospesi dal servizio. La sospensione perde efficacia se per il fatto è successivamente pronunciata sentenza di proscioglimento o di assoluzione anche non definitiva e, in ogni caso, decorso un periodo di tempo pari a quello di prescrizione del reato».(d.p.)

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