Chiarini, l’esploratore dimenticato dall’Abruzzo 

Morì esattamente 140 anni fa in Africa in circostanze rimaste misteriose I suoi viaggi, le avventure e la tragica fine forse per un avvelenamento

Il 5 ottobre del 1879 si spegneva Giovanni Chiarini, forse il più grande esploratore abruzzese di tutti i tempi. Cresciuto tra le cime della Majella e del Gran Sasso, verso le quali mostrò subito una curiosità d’esplorazione che lo portarono a compiere escursioni pionieristiche come membro del Club Alpino Italiano, compì gli studi di ingegneria a Napoli laureandosi nel 1874. Ripercorrere il suo viaggio straordinario, che finì esattamente 140 anni fa, è necessario soprattutto giacché a tanti abruzzesi il suo nome risulta pressoché sconosciuto. La ricorrenza, pertanto, rappresenta l’occasione più giusta per riscoprire questa pagina di storia abruzzese ed al contempo nazionale, inquadrando l’impresa nel contesto storico dell’Italia del tempo.
I PRIMI ESPLORATORI. Con il completamento del processo unitario il Paese si proiettò compatto ai grandi spazi intercontinentali, affiancandosi alle altre potenze europee che da anni avevano spinto le loro prue ed inviato i loro esploratori alla scoperta dei confini del mondo in cerca di ricchezza. Per questa ragione, già nel 1867 a Firenze fu fondata la Società Geografica Italiana da Orazio Antinori, Cristoforo Negri e Cesare Correnti. La Società aveva come obbiettivo quello di promuovere la conoscenza geografica e i viaggi d’esplorazione, che nel XIX secolo non perseguivano come finalità esclusiva il progresso delle scienze, ma gettavano le basi per la predisposizione di un impero coloniale, ritagliandosi un posto tra gli altri imperi d’oltremare d’Europa. Nelle mappe del mondo circolanti nella seconda metà dell’Ottocento, erano ancora numerosi gli spazi bianchi ove finivano i dati cartografici noti agli europei: è il caso delle grandi catene montuose asiatiche, di vaste porzioni della foresta amazzonica, dei passaggi artici siberiani e canadesi, dei due poli ed infine di gran parte dell’Africa interna.
LE SPEDIZIONI. L’Italia organizzò spedizioni esplorative in molti dei contesti suddetti ancora ignoti alle carte geografiche, molte delle quali rivolte soprattutto al continente africano. Fu proprio a una di queste traversate che prese parte il nostro conterraneo Giovanni Chiarini, in compagnia di Orazio Antinori, Lorenzo Landini e Antonio Cecchi. Si trattò della cosiddetta “Grande Spedizione”, un viaggio che avrebbe dovuto raggiungere la zona dei laghi equatoriali e le sorgenti del Nilo Bianco, a sud ovest della regione etiopica dello Scioa. Gli esploratori salparono da Napoli l’8 marzo del 1876 e a fine mese giunsero ad Aden, porto yemenita occupato dai britannici nel 1839, ove studiarono e pianificarono l’itinerario da seguire. Da lì salparono per Zeila, sulla costa somala, da cui partì la traversata terrestre che li condusse a fine agosto nella regione dello Scioa, accolti dal governatore della provincia. Il Chiarini ebbe modo di realizzare studi approfonditi sulla geologia dell’Africa Orientale, includendo alcuni dati già raccolti nel breve periodo yemenita; di particolare rilievo furono le osservazioni relative alla catena montuosa etiopica degli Ittu, allora ancora assente dalle conoscenze geografiche del vecchio continente.
GLI STUDI DI CHIARINI. Egli, tuttavia, non si limitò alle sole osservazioni scientifiche di carattere geologico, ma compì studi notevolissimi altresì su fauna, flora e persino sui popoli somali ed etiopici che ebbero modo di incontrare nel corso della traversata, con riguardo agli ordinamenti politici, alle religioni e alla cultura materiale da regione a regione. A causa di una ferita alla mano destra, l’Antinori fu costretto a interrompere la propria spedizione lasciando ai soli Cecchi e Chiarini il proseguimento della traversata.
I SOSPETTI DELLA REGINA. Nel settembre 1878 l’esploratore abruzzese compì delle ulteriori osservazioni etnografiche, questa volta sul popolo pressoché sconosciuto dei Guraghé, che incontrò una volta camuffatosi non senza rischi da sacerdote missionario. La discesa a sud ovest proseguì per altri due mesi finché i due italiani raggiunsero il piccolo regno islamico di Gera, con a capo la regina Genne Fa’ che dal principio non ebbe di buon occhio i due avventurieri, sospettando che fossero delle spie inviate dal sovrano d’Etiopia Menelik, il cui impero annetté il suo regno nel 1887. Per questa ragione la traversata s’interruppe in questo punto, e l’esploratore teatino perì il 5 d’ottobre a causa di dolori intestinali lancinanti. Fu il Cecchi, compagno d’avventura nella gioia dei mesi pacifici e negli stenti delle settimane del sequestro, a riportare nel suo scritto quanto avvenne al povero Chiarini, la cui morte non nasconde un velo di sospetto da parte del compagno a proposito di un possibile avvelenamento perpetrato per ordine della regina.
IL TESTAMENTO. Prima di spegnersi, il giovane teatino avrebbe sussurrato al compagno di “riferire alla Società Geografica che io muoio sulla breccia per fare il mio dovere; che mi dispiace, più che morire, non poterlo compiere fino all’ultimo fino ai Laghi Equatoriali dove la nostra spedizione doveva giungere. Saluta tutti i signori della Società, e non dimenticare di baciare per me la povera mamma”. Nel territorio di Afallo, ove sorgeva una missione cattolica, la salma del viaggiatore abruzzese fu sistemata in una capanna di bambù, finché ben quattro anni dopo il giornalista e avventuriero piemontese Augusto Franzoj riuscì a recuperare i resti e a ricondurli in Italia solo nel 1884.
L’ADDIO. Chissà se il 26 novembre dello stesso anno, quando nella città abruzzese si svolsero i funerali, il popolo teatino fu realmente consapevole di chi fosse Giovanni Chiarini, di quanto accrebbe attraverso il suo coraggio la percezione italiana ed europea di uno spicchio di mondo ancora sconosciuto. Certo è che a 140 anni di distanza, un busto, l’intitolazione di qualche strada di città e i pochi studi persi e impolverati tra le biblioteche del paese, testimoniano un ricordo ancora oggi ingiustamente sfumato. A soli trent’anni, un abruzzese che scoprì la natura scalando i massicci della nostra terra scelse di varcare la fine delle mappe, e come tanti che partirono per vincere gli ostacoli dei viaggi verso i confini del mondo finì per esser vinto dalle complessità, innanzitutto politiche, delle terre lontane. In quegli anni personaggi come Romolo Gessi nel Sudan, Giacomo Bove nei mari di Siberia, Giuseppe Sapeto in Dancalia (tra Gibuti ed Eritrea), Pietro Antonelli in Etiopia, abbandonarono l’Italia per accrescere le conoscenze geografiche, antropologiche e scientifiche, ponendo le basi al tentativo del paese di allargare i propri confini nazionali nella logica delle nazioni europee del tempo. Benché il suo Abruzzo ancora non lo abbia studiato e celebrato come sarebbe giusto, Chiarini si colloca, a pieno diritto, nell’elenco dei grandi avventurieri dell’Italia ottocentesca e dei più celebri esploratori del continente africano.
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