Conche e mestoli come 300 anni faL'arte del rame a Selva d'Altino / Foto

Ferdinando e Michele Petitti: "Un tempo le liste di nozze si facevano da noi"

Le mani di Ferdinando Petitti raccontano più di tante parole: corrose dagli acidi, sopraffatte dall'artrosi, bitorzolute da infinte e involontarie battiture; agili comunque al punto di creare, da un centimetro quadrato di rame, un chiodo. «Questa tecnica ha 300 anni e solo con questi riesci a unire i pezzi di rame, ma oramai è difficile vedere in giro chi pratica l'antica arte», dice Ferdinando mentre mostra la differenza tra il "suo" chiodo e un industriale ribattino utilizzato dagli "altri".

Ferdinando Petitti è uno dei pochi che ancora esercita l'antico mestiere di ramaio: caldaie (quelle da 4 some, ettolitri, una volta erano utilizzate per cuocere il vino cotto o fare il sapone), conche, mestoli ("lu maniere"), bracieri, lucerne, bagnarole, scolapasta, scaldaletto, contenitori graduati per vendere il latte, pompe a spalle per irrigare i vigneti, solo per citarne le realizzazioni più comuni. A Selva d'Altino, lungo la Nazionale, la bottega dell'anziano artigiano quasi si nasconde tra esercizi commerciali, uffici e palazzi, segno della laboriosità di questa gente. Eppure, varcatane la soglia, le lancette dell'orologio sono riportate indietro nel tempo.

«Sono nato a Casoli nel 1928 ma la mia famiglia viene da Agnone anche perché» aggiunge abbozzando un sorriso di compiacimento «se non è di Agnone, un ramaio è mezzo ramaio». Il legame con il paese molisano, patria delle campane e di abili artigiani, è vivo; un cordone ombelicale mai interrotto, il luogo della memoria dove rifugiarsi nei momenti di difficoltà e trovare forza per andare avanti. Una stirpe di ramai quella dei Petitti la cui origine (richiamata anche nel cognome), prima di stanziarsi negli Abruzzi, era francese. «Ho appreso l'arte di lavorare il rame da mio padre Felice; poi, dopo la sua morte prematura, sono stati gli zii di Agnone i miei maestri», racconta Ferdinando mentre mostra la foto ingiallita e polverulenta del papà sospesa tra la volta e una parete della bottega. Quell'immagine ha sorvegliato come nume protettore su suo figlio che, chino su panca, cavallo, tre piedi di legno, utilizzando martelli di legno d'olivo (che "durano una vita"), in ferro appartenuti al nonno (per fare i disegni; rigati per realizzare le "lische" di pesce; per le ribattiture), forbici, forgia, e chioviera (attrezzo necessario per dare la misura ai chiodi), continuava l'arte di famiglia. Il ramaio deve essere un abile cesellatore per creare quelle composizioni decorative che, prima che arrivassero gli stampi industriali, erano diverse per ogni oggetto che usciva dalle botteghe.

«Il ferro si batte caldo mentre il rame a freddo», afferma l'anziano ramaio a indicare che la lastra di rame si modella quasi con le mani (ecco spiegato che la gran parte degli attrezzi è in legno), riesci a sentirne la duttilità a trasmetterne, se ci sai fare, le usuali forme. Alcune conche, quelle di Ferdinando lo sono ancora, erano delle vere opere d'arte e a ben ragione potrebbero trovare posto non solo in musei etnografici; modellate avendo come forma un corpo femminile ne rappresentavano la laboriosità e la loro essenza: la capacità di ricevere e dare, accogliere e soddisfare.

Ferdinando il ramaio ha trasmesso la passione per questo lavoro a suo figlio Michele. «È bravo e si dà da fare, peccato che i tempi sono cambiati. Basti pensare che nei tempi andati le liste nozze si facevano dai ramai». L'ultimo dei Petitti, che ha ottenuto nel 2006 il "Marchio di appartenenza alle tradizioni dell'artigianato artistico" della provincia di Chieti, partecipa a mostre ed esposizioni artigianali in diverse Città segno che il mercato impone nuove frontiere perché, dice Michele, «sono i turisti che ci danno la possibilità di campare anche se l'anno appena trascorso, compreso il recente periodo natalizio, c'è stata crisi».

I turisti che arrivano a Piane d'Archi visitano l'esposizione dei ramai Petitti: due stanze ricche di piccoli e medi oggetti il più delle volte espressione di un mondo scomparso. Tutti rigorosamente fatti a mano tranne due, una conca e un mestolo, che sono stati acquistati nella grande distribuzione e realizzati con lo stampo in serie.

«Ci servono» svela Ferdinando socchiudendo le palpebre che non riescono comunque a nascondere le pupille di un azzurro limpido «per far vedere la differenza tra le nostre opere e le altre "cose" che si acquistano in giro».

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