«Costretti ad andare via»

Vertenza Transcom, parla il direttore generale Boggio.

L’AQUILA. «Vogliamo dire la nostra verità». Si sente al centro di «attacchi e strumentalizzazioni», il direttore generale della Transcom Worldwide, Roberto Boggio. E vuole spiegare le motivazioni che hanno portato l’azienda a licenziare 276 addetti su 345. Lo fa attraverso una lettera che si conclude con un augurio alla città dell’Aquila, «perché torni presto a volare, con o senza Transcom» e con l’auspicio che «si possa sviluppare nuova occupazione, per ridare vera speranza agli aquilani».

I LICENZIAMENTI. «Per giorni, settimane o mesi», scrive Boggio, «si potrebbe discutere sul fatto se sia giusto o meno che un’azienda apra una procedura di licenziamento in un’area terremotata. Noi siamo stati costretti a farlo e di questo ce ne assumeremo la responsabilità e tutte le conseguenze. In ogni caso, ci scusiamo con tutti gli aquilani, già duramente colpiti, per non essere riusciti a dare il nostro contributo come avremmo voluto. Ma perché lo abbiamo fatto? Siamo impazziti o siamo forse cinici sfruttatori di una situazione di difficoltà altrui? Non credo, anche se a qualcuno ha fatto comodo farci apparire così. Anche noi siamo stati colpiti dal terremoto, con una sede inagibile per mesi, con danni per milioni di euro e con una commessa da salvare se volevamo continuare a stare in piedi, non solo all’Aquila ma a livello nazionale. Dal 6 aprile abbiamo oltre 300 dipendenti in cassa integrazione e 50 dipendenti che hanno accettato di essere distaccati presso un’altra sede, sperando di poter rientrare all’Aquila. È un impegno che abbiamo preso e che cercheremo di mantenere. Siamo un’azienda terremotata, con dipendenti terremotati (tra cui una vittima), in un settore che vive a sua volta un vero e proprio terremoto».

LA CRISI DI MERCATO. «Le vicende che stanno travolgendo i call center in outsourcing», aggiunge Boggio, «sono sotto gli occhi di tutti, con molti dei nostri concorrenti che versano in difficoltà e da mesi non sono in grado di pagare stipendi e contributi. Noi almeno fino al 6 aprile li abbiamo sempre pagati e quando non siamo più stati in grado di farlo, lo abbiamo detto con senso di responsabilità a sindacati e istituzioni. E ci duole aggiungere che negli anni passati abbiamo denunciato inascoltati i problemi di competitività della sede aquilana, sbattendo purtroppo la faccia contro le rigidità del sistema. Abbiamo voluto usare i nostri dipendenti come «scudi umani» per trarre vantaggio? No, abbiamo cercato di sopravvivere in un mercato che ci penalizza da un’assenza totale di regole uguali per tutti ed in balia di committenti che si muovono a proprio comprensibile vantaggio. E ci tengo a precisare che non mi riferisco a Tele2 e Vodafone, che rappresentano una delle realtà più attente al sociale in Italia. Con Tele2 e Vodafone desidero pubblicamente scusarmi, ringraziandoli per quanto hanno fatto e stanno facendo, in quanto non era certamente nostra intenzione addossare loro alcuna responsabilità in merito alle nostre decisioni».

I SINDACATI. «Durante la lunga vertenza», dice Boggio, «abbiamo cercato di far valere le nostre ragioni in un complicatissimo sistema di relazioni industriali che non prevede una reale concertazione tra sindacato ed azienda al fine di salvare posti di lavoro, ma solo un lunghissimo ed interminabile teatrino, che non può risolvere i problemi, ma solo spostarli ad altri, con il sostegno della spesa pubblica. Ed il teatrino purtroppo continua anche dopo la firma degli accordi nazionali, che ovviamente non sono una vittoria per nessuno, nella competizione tra le diverse sigle sindacali a prenderne le distanze, perché oggi fa comodo a tutti dimostrare che Transcom è cinica e cattiva».

IL GRUPPO ECARE. «Con le nostre decisioni abbiamo sicuramente fatto scelte difficili e coraggiose che ci hanno esposto a profonde critiche: dai clienti alla politica, dal sindacato ai nostri dipendenti. Auspicheremmo che anche altri facessero scelte coraggiose, ma giuste e nel vero interesse dell’Aquila, dell’Abruzzo e dell’intero Paese. La soluzione di Ecare noi l’abbiamo subita, non l’abbiamo cercata. Avremmo preferito ben altro epilogo. Ecare è un nostro diretto concorrente, ma oggi è l’unica soluzione percorribile che i nostri interlocutori sindacali siano stati in grado di trovare per salvare l’occupazione ed i nostri dipendenti. Ed almeno di questo ce ne siamo fatti una ragione nell’esclusivo interesse di 276 famiglie».