Di neve e d'amore

di Vincenzo Bosica

Il grafico pubblicitario e scrittore di Pescara, autore del romanzo “Irregolare”, ha scritto questo racconto per il Centro.

Miliardi di fiocchi di neve si addensano nel cielo color piombo. Scendono lentamente, inesorabilmente, soffocando la città in una morsa monocromatica. Nella magia dell’infinita diversità della natura, ogni cristallo di ghiaccio differisce dall’altro, proprio come i minuscoli granelli di sabbia della spiaggia, proprio come i migliaia di aghi della pineta, proprio come ogni uomo. No, come ogni uomo non più ormai: un tempo eravamo pezzi unici, simili ma assolutamente diversi, mentre oggi siamo tutti perfettamente uguali. Oggi siamo tutti cloni.

Mi scrollo di dosso il bianco che si è accumulato sulle spalle e dirigo lo sguardo in alto, verso i fiocchi che cadono giù dal cielo lattiginoso, cercando di individuare la loro complessa simmetria esagonale. buffo pensare all’unicità della vita osservando un semplice evento atmosferico come la rapida condensazione di un impalpabile vapore acqueo. Eppure lo sto facendo, sto riflettendo sulla meraviglia di essere unici.

Strano, nella mia testa non dovrebbe nascere un simile pensiero: ho la struttura genetica identica a tutti gli altri uomini, sono stato concepito in provetta e sono cresciuto in vasca senza alcuna contaminazione esterna, e il mio intero bagaglio socioculturale deriva direttamente da impulsi elettrochimici generati da un computer.

Io sono solo un numero, più precisamente un codice; non godo neanche del beneficio di avere un nome personale di cui vantarmi. L’unica differenza rispetto agli altri cloni è la mia professione.

Sono un guardiano. Ho un fucile, un binocolo IR, una mimetica invernale completa di guanti, anfibi e berretto, un pesante zaino pieno di cianfrusaglie e una radio militare a lungo raggio. Il mio compito è quello di difendere il perimetro dagli animali pericolosi che circolano nei paraggi dell’accampamento, attirati dai fuochi o dall’odore di cibo. Generalmente sono mustelidi e branchi di lupi, a volte temibili orsi polari.

Un tempo l’Italia si trovava nella fascia climatica temperata, ma da quando l’asse di rotazione terrestre si è spostato, il territorio ha assunto caratteristiche subpolari. Secondo le coordinate satellitari, in questo momento io e la squadra stiamo attraversando la regione chiamata Abruzzo. In particolare, l’area dove ci troviamo adesso era una città di mare, molto bella a giudicare dai mozziconi di infrastrutture che sbucano dall’onnipresente manto nevoso. Sono giorni che perlustriamo queste zone e abbiamo quasi terminato l’esplorazione. Neanche qui abbiamo trovato sopravvissuti. Presto ci rimetteremo in marcia e continueremo a scendere lungo la penisola.

Continuo a guardare i fiocchi di neve finché non scorgo un collega clone sbucare da dietro una collinetta bianca: sta arrivando dal campo base a darmi il cambio di guardia. Indossa la mia stessa divisa e trasporta la medesima attrezzatura. come se mi guardassi allo specchio, se non fosse che io sono ricoperto di neve e intirizzito dal freddo, con la punta del naso che sembra un ghiacciolo.

«Tutto tranquillo?» mi chiede una volta giunto.

Annuisco battendo i piedi e rimettendomi il fucile a tracolla. «La parte peggiore è superare la noia. tutto così bianco, così silenzioso. Nella quiete della solitudine i pensieri corrono veloci. A volte mi sembra di assentarmi e scivolare tra le pieghe del tempo. Non so se sono riuscito a spiegarmi». Il clone mi fissa con aria interrogativa: «Qualche pensiero in particolare?».

«Meditavo sulla struttura cristallina dei fiocchi di neve: non ne esiste una uguale all’altra. La loro singolarità è straordinaria. In passato anche gli uomini erano unici e irripetibili. Riesci a immaginare che sensazione si potrebbe provare?». Osservo l’uomo al mio fianco alzare la testa e scrutare il cielo, con gli stessi gesti lenti e misurati che avevo compiuto io poche ore prima. Vivere in una società composta da individui clonati equivale a sperimentare una sorta di incessante dejà-vu.

Il clone torna a guardarmi, stavolta con aria di chi la sa lunga. «Anche noi, per quanto copie perfettamente identiche le une alle altre, possiamo distinguerci e diventare unici». La rivelazione mi lascia stupefatto. Rimango in silenzio reverenziale, in attesa di ascoltare il resto.

«Il segreto è nell’esperienza. Veniamo al mondo tutti uguali, ma in seguito ognuno percorre la sua strada e vive le proprie esperienze. Ogni evento, piccolo o grande, anche quello più insignificante, ha la forza di trasformarci e renderci diversi. Accade poco alla volta, come il vento che smussa le asperità della terra, come gocce d’acqua che scavano nella roccia». Torniamo insieme a guardare il cielo, con movimenti sincroni. Finalmente capisco. Basta poco per essere se stessi, basta un nonnulla per distinguersi.

Basta anche un fiocco di neve.

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