«Ecco la geografia dell’oro nero»

Sos degli ambientalisti: coinvolta quasi la metà del territorio regionale

PESCARA. L’Abruzzo terra di conquista per i cercatori di «oro nero»? Un dato emerge in modo chiaro: circa la metà della superficie regionale (49,11%) è interessata alla ricerca e alla coltivazione degli idrocarburi, con il coinvolgimento di tre quarti dei Comuni (221) che racchiudono nell’insieme quasi l’80 per cento della popolazione abruzzese.

Rilievi che fanno impressione, in una regione spesso indicata come «regione verde d’Europa», ma al tempo stesso rendono l’essenza del dossier - sullo stato della ricerca e della coltivazione degli idrocarburi in Abruzzo - realizzato da Legambiente e Wwf nell’occasione del quarto anniversario dell’entrata in vigore del protocollo di Kyoto. Uno studio dettagliato, l’unico disponibile per comprendere quantità e qualità dei progetti finalizzati alla perforazioni per mare e per terra in Abruzzo, accompagnato da approfondimenti e condito dall’elaborazione dei dati ufficiali del ministero dello Sviluppo economico. Indicatori che, intrecciati con i dati Istat, evidenziano la geografia degli idrocarburi regionale, per la prima volta inquadrata sulla scala dei singoli Comuni.

Il dossier parte da una citazione che riassume bene lo spirito della ricerca prodotta dai movimenti ambientalisti. «L’Italia», sono parole di Derek Musgrove, managing director della Northern petroleum Plc, «è un Paese allettante per l’esplorazione degli idrocarburi. L’affitto annuale di superficie concesso è di soli 5 euro per chilometro quadrato, le licenze sono concesse per un periodo iniziale di sei anni, dei quali possono trascorrerne fino a cinque prima che sia richiesto un obbligo all’impresa trivellatrice.

I diritti di produzione sono solo del 7% onshore e del 4% offshore ma non ci sono canoni dovuti per i primi 20 milioni annui di metri cubi di gas e per i primi 20 milioni di tonnellate di petrolio. Ci sono tuttavia le tasse regionali e ci si può trovare di fronte a imposte sulle società, sugli utili fino al 35%. Il regime fiscale italiano sugli idrocarburi», conclude Musgrove, «è molto più stabile di quello nel Mare del Nord inglese».

Da qui la mappa più aggiornata sui permessi di ricerca, le concessioni di coltivazione e stoccaggio, i pozzi e le perforazioni su ogni singolo Comune. Un fenomeno, che a detta del Wwf Abruzzo, presieduto da Camilla Crisante, «si è accentuato notevolmente negli ultimi anni. E non essendo gestito dalle istituzioni regionali, provinciali e comunali, è totalmente nelle mani e negli interessi delle compagnie petrolifere nazionali e internazionali».

Il «caso petrolio», esploso con la vicenda del centro oli di Ortona, poi bloccato da una legge regionale in attesa che il governo nazionale ridefinisca i propri interessi petroliferi in Abruzzo, registra oggi una mobilitazione di comitati e associazioni. «La vertenza», sostengono i ricercatori di Wwf e Legambiente, «mette l’Abruzzo dinanzi a una scelta cruciale, poiché sarà impossibile far coesistere le ragioni del petrolio con le ragioni di oltre mezzo secolo di economia consolidata fatta di agricoltura e turismo, vere vocazioni regionali».

Legambiente e Wwf ritengono l’orientamento del governo regionale «una condizione utile ad avviare responsabilmente una riflessione sul futuro industriale e energetico dell’Abruzzo che, di fronte alle sfide globali dei mutamenti climatici, non può che essere orientata alla qualità e all’innovazione ambientale. Per fare tutto questo occorre però aumentare in primo luogo gli attuali livelli di conoscenza».

Tra le province abruzzesi, a Chieti si registra l’impatto più grande con la ricerca petrolifera. Sono 92 su 103 i Comuni interessati, pari a una superficie di 2.011 chilometri quadrati (77%) impegnata nei progetti per gli idrocarburi. A seguire ci sono Teramo con 1.315 kmq (67,5%); L’Aquila 1.106 kmq, pari al 21,9%, e infine Pescara con 869 kmq (71%). Complessivamente, in Abruzzo, sono 5.301 i chilometri quadrati di superficie destinati a ricerche o coltivazioni (49,1%).

Insomma un fenomeno importante, che va ben al di là della battaglia innescata dal «centro oli» di Ortona.
«Uscire dal petrolio», dice il popolo ambientalista, «è l’occasione utile per avviare concretamente un programma di risparmio, efficienza energetica, diffusione delle fonti rinnovabili, innovazione e rafforzamento del sistema produttivo regionale».

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