Espropriati e tartassati dal Fisco

Le storie delle famiglie mai indennizzate per i lavori dell'Asse attrezzato

PESCARA. Attendono da decenni di vedersi riconosciuto un credito sacrosanto: essere indennizzati per l'esproprio dei terreni occupati con la realizzazione dell'Asse attrezzato e altri insediamenti, progettati e poi realizzati dall'Area di sviluppo industriale chietino-pescarese. Sono diverse decine i proprietari in attesa, alcuni da 40 anni, pur potendo avvalersi di sentenze nel frattempo passate in giudicato, peraltro registrate a loro spese.

Negli uffici del Consorzio industriale Valle della Pescara, a San Giovanni Teatino, si accumulano uno sull'altro come montagne i faldoni che racchiudono tante storie uguali di famiglie contadine. Tutte costrette, all'inizio degli anni Settanta, a cedere lotti di proprietà, spesso minuscoli terreni, sui quali avevano confidato di realizzare un tesoretto per la vecchiaia. Ma il filo che unisce le vicende personali di tante famiglie, su entrambi i versanti teatino e pescarese, è la percezione di una profonda ingiustizia che si alimenta ogni giorno di amarezze e nuove frustrazioni. Ad accomunare i creditori del Consorzio c'è che, passato tanto tempo, a discutere con avvocati e periti dei tribunali sono quasi sempre gli eredi dei proprietari, giacché i primi titolari dei siti sono morti.

Antonio Monti è il figlio di Ida Capodicasa e rappresenta anche gli interessi dello zio Mario, oltre che di altri quattro tra fratelli e sorelle. «Mia madre è morta e non ha visto niente. Così mio padre. Ora sono io a cercare di tirare su qualcosa da questa storia incredibile. I miei erano agricoltori della zona di Santa Filomena, a Chieti. All'epoca, parliamo del 1980, cedettero 1500 metri quadrati di terra per la realizzazione dell'ultimo troncone dell'Asse attrezzato, in direzione Brecciarola. Non abbiamo mai visto un soldo, nonostante la sentenza definitiva condanni il Consorzio a pagare senza appello. La cifra? Poca roba, siamo intorno ai 60mila euro. Dico però che in questa vicenda la mia famiglia ci ha solo rimesso, perché abbiamo dovuto anticipare persino il pagamento delle parcelle ai periti nominati dal tribunale, non avendo l'Asi mai avuto una lira. Neppure per onorare le proprie condanne. Così ci è toccato pagare la registrazione della sentenza, che di regola spetta alla parte soccombente. Siamo sempre lì: quando l'Agenzia delle entrate bussa a denari negli uffici del Consorzio, inevitabilmente è costretta a dirottare l'attenzione sulle altre parti del processo. Ha poca importanza sei hai vinto o perso la causa. Quelli del fisco i soldi li prendono dove li trovano. Così è ridotta la giustizia in Italia. Punto».

Finita anche la speranza? «No, quella non muore mai. Siamo cinque figli, aspettiamo di capire dove vogliono arrivare, perché è proprio una cosa da non credere: speriamo almeno che i nipoti possano vedere un euro».

Morale? «Dico che Regione e governo fanno schifo. Aggiungo che, all'inizio di questa storia, mia zia diceva sempre di non fidarsi. Di contattare subito un avvocato. Ma non le demmo retta perché pensavamo: il Consorzio è un ente pubblico, sicuramente prima o poi pagherà. Ecco, non c'è dubbio che aveva ragione mia zia».

La storia raccontata da Antonio Monti è come quella di Giovanni Mastrogirolamo, anche lui erede di un'altra grande famiglia di piccoli proprietari costretti a cedere siti d'urgenza al Consorzio. Sentenza passata in giudicato e grattacapi a non finire con gli avvocati pur di vedere realizzato il sogno di una vita che è diventato un incubo.

Così Piero Achille, erede e portavoce del fu Di Nisio Sabatino, per una occupazione di suoli che risale al 1979. «Sentenza vinta, ma tanto a che serve?».

E ancora, per restare sul versante teatino, l'esproprio mai indennizzato a Gabriele Virgilio più altri quattro: stesso copione. O di Pantaleone Leva e Giuseppe Pantaleone. L'elenco è rigorosamente parziale.

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