Il geriatra: «Meglio a casa con una brava badante»

Il primario Pozone: «L’anziano sottratto al proprio ambiente può deprimersi ma se la casa di riposo fa attività stimolanti si può davvero rinascere»

L’AQUILA. Anziani: è meglio la badante o la casa di riposo? Una domanda alla quale non sempre è facile rispondere per i familiari di persone che, per l’età avanzata o per disabilità, hanno bisogno di un’assistenza e di una cura costanti. Ma qual è la scelta giusta da fare per non compromettere l’equilibrio tanto fragile dei genitori 80enni o dei nonni? Oltre all’aspetto organizzativo, infatti, e a quello economico, c’è da tenere conto della salute mentale dell’anziano.

Da quest’intervista al primario di Geriatria dell’ospedale San Salvatore dell’Aquila, Marco Pozone, emergono aspetti di cui si dovrebbe tenere conto prima di decidere a chi affidare i propri anziani. Aspetti che, forse, qualche volta vengono sottovalutati.

Dottor Pozone, è meglio la badante o la casa di riposo?

«Per assistere un nostro familiare la badante ha bisogno di spazi per lui abituali. Dato che si resta nel proprio ambiente, ritengo che sarebbe la scelta migliore per un anziano. A volte, infatti, basta cambiare luogo, o anche soltanto stanza da letto per mettere in difficoltà un anziano. Con l’avanzare dell'età, infatti, si perde l’efficienza dei cinque sensi (udito e vista soprattutto) ma vengono meno anche molte capacità relazionali e sicurezze legate all’ambiente circostante. Il cambiamento determina spesso la perdita di lucidità e squilibri psicologici. Meglio ancora se le badanti sono preparate con corsi di assistenza ad hoc».

Allora portare un anziano in una casa di riposo non è proprio la scelta migliore?

«E’ da valutare situazione per situazione. Le case di riposo sono gestite con un regime alberghiero, quindi innanzitutto costano molto. Per quanto riguarda, invece, la salute degli ospiti, nella mia esperienza di medico ho visto persone che, una volta entrate, si deprimono e si lasciano morire; altre che, trovandosi in strutture dove è possibile socializzare, sono rinate. Molti ospiti di case di cura, se accolti in un ambiente socialmente stimolante, migliorano la loro vita. Come vede non esiste una regola fissa. Il punto è che se un anziano ha la sensazione di essere allontanato dalla sua famiglia, dove ha una situazione affettivamente buona, si sente abbandonato e c’è il rischio che si lasci morire. E se una persona di quell’età si vuole lascare morire, non c'è medico o medicina che tenga».

Lei cosa suggerisce alle famiglie che stanno valutando di trovare la giusta assistenza per un anziano?

«La famiglia è sempre la famiglia. E la salute, più si avanza con l'età, più è legata all'accoglienza e all’affetto dei propri cari. Ma non tutte le situazioni permettono di tenere in casa una persona anziana. Spesso il lavoro che tiene tutti fuori casa dalla mattina alla sera ed è difficile prendersi cura di chi resta. Inoltre oggi le famiglie si stanno sfasciando. Prima erano allargate, con i quattro nonni e tanti zii che ruotavano intorno allo stesso nucleo familiare, oggi le famiglie sono mononucleari, o si rompono dopo il matrimonio. E chi ne paga le conseguenze è l’anello debole della società».

Dunque, l’anziano come il bambino?

«Il problema delle future società sarà proprio questo: la gestione dell’assistenza ad anziani e bambini, che sono i due estremi umani che hanno più bisogno di assistenza. La differenza sulla loro qualità di vita la fa il contorno affettivo».

Dottore lei parla di “problema del futuro”. Significa che siamo un popolo che invecchia?

«Siamo un popolo che è già invecchiato. Anzi, quello italiano è tra i popoli più vecchi del mondo».

Ma significa anche che siamo in salute?

«Sì, il nostro sistema sanitario e la medicina ci fanno vivere più a lungo. La sanità in Italia negli ultimi decenni ha permesso che la gente invecchiasse. Altri Paesi non ci sono riusciti. Pensi che fino a dieci anni fa, si parlava di geriatria quando si arrivava a 75 anni; ora dai 75 anni in su: abbiamo guadagnato 10 anni. Ma l'85 % delle risorse del nostro Paese, in questo modo, vengono consumate dagli anziani».

E quando, invece, si deve ricorrere alle Rsa (Residenze sanitarie per anziani)?

«Si tratta di residenze per lo più private, ma ce ne sono anche di pubbliche in tutto l’Abruzzo, nate per accogliere gli anziani ‘fragili’, ossia ad alto rischio di salute per malattie, traumi o anche situazioni sociali che non li rendono capaci di prendersi cura di se stessi. Per ‘fragile’ intendo un anziano che, una volta superata la fase acuta della malattia, non è probabilmente in grado di gestire la malattia o la convalescenza da solo. Molte volte ho visto coppie di anziani prendersi cura l’uno dell’altra. Poi, basta che uno dei due si ammala o muore e l’equilibrio salta. Vorrei ricordare, poi, che una malattia acuta in un paziente anziano può essere il passaggio dallo stato di autosufficienza a uno di fragilità».

Marianna Gianforte

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