Oggi lo spettacolo all’Aquila per l’Atam. Le pagine scelte da Dacia Maraini e Paolo Di Paola

Il respiro leggero dell’Abruzzo

Una scelta di brani da Ovidio a D’Annunzio, da Gadda a Ginzburg

«Il respiro leggero dell’Abruzzo» è la raccolta di testi scelti da Dacia Maraini e Paolo Di Paola, per uno spettacolo teatrale tra musica e parole, affidato a Nino Bernardini, Annalisa Picconi, Gabriele Tuccimei e al Coro Polifonico della Portella, diretto da Vincenzo Vivio. L’appuntamento è fissato per oggi, alle 15, nell’auditorium Carispaq dell’Aquila (via Pescara, 4), allestito da Atam, Associazione teatrale abruzzese e molisana.

Un viaggio che oggi si colora di nostalgia e anche di sgomento e che ha la dolcezza di un omaggio nei confronti di una terra che, a distanza di quasi un anno dal sisma, mostra ancora tragiche ferite. Ovidio e Gregorovius, D’Annunzio e Croce, Gadda e Natalia Ginzburg e tanti altri ancora scandiscono un itinerario letterario colmo di suggestioni, che ammalia e invita al viaggio.
Nel racconto «Inverno in Abruzzo», Natalia Ginzburg ricorda l’arrivo nel paese e la dura vita a cui lei, suo marito e i due figli erano sottoposti: «Quando venni al paese di cui parlo, nei primi tempi tutti i volti mi parevano uguali, tutte le donne si rassomigliavano, ricche e povere, giovani e vecchie. Ma poi a poco a poco cominciai a distinguere Vincenzina da Secondina, Annunziata da Addolorata, e cominciai a entrare in ogni casa e a scaldarmi a quei fuochi diversi».

«Abruzzo, parola che suona all’orecchio aspra e strana» scrive Ferdinando Gregorovius; «subito mi mette innanzi il quadro di un paese di bellezza singolare, fiera e maestosa». Ma quanto si è trasformata la regione aspra e strana di cui parla Gregorovius? Quanto ha ceduto in originalità e severità? Così Dacia Maraini che ha cucito, insieme a Paolo Di Paolo questo puzzle che evoca colori, profumi, sapori. «Gli Abruzzi, ecco, per me sono un mistero», scrive Domenico Rea più di un secolo dopo, «da ragazzo lo ritenevo un paese sperduto tra le montagne, coperto da un cielo terso, avvolto di neve, di ghiaccio e di vento. Dentro vi vedevo camminare pastori dannunziani, greggi lanose. Soltanto molti anni dopo potetti vedere di persona gli Abruzzi e non ne fui deluso.

Vi raccolsi cappellate di lumachine bianche insieme a mia figlia. Vi andavo tutte le volte che volevo respirare un po’ d’aria buona, così credevo e so invece che andavo in cerca di altro, forse di me stesso.» Ancora la Maraini: «Ecco, gli Abruzzi sono ancora quelle montagne cosparse di lumachine bianche dove si va a cercare se stessi? Certamente, per chi lo ama, questo paesaggio rimane, come scrisse D’Annunzio, “una lontananza ampia e turchiniccia e misteriosa che dilegua alla vista del languore del giorno”. Mistero che veglia nell’animo di tanti emigrati lontani, mistero che abbaglia chi oggi pensa di potersi insediare nelle bellezze dei suoi boschi, faticando a vincere le antiche diffidenze dei suoi orgogliosi abitanti». Mistero che si fa dolore,oggi, per nuovi migranti, coloro che a causa del terremoto sono stati costretti ad andare via, per coloro che sono restati e con gli occhi della memoria cercano luoghi che non ci sono più.