Pochi parti in territori piccoli ecco perché chiudono le Maternità

Il provvedimento della Regione applica le regole varate dal ministero della Salute Non c’è soltanto la soglia dei 500 nati ma anche il bacino d’utenza. E non solo per ostetricia

PESCARA. Il destino dei punti nascita abruzzesi non è legato, come poteva essere 20 anni fa, a una battaglia di territorio, o a un braccio di ferro tra potentati politici. Il provvedimento che l’assessore regionale alla Sanità Silvio Paolucci ha già pronto per la firma del commissario ad acta Luciano D’Alfonso, recepisce il decreto del ministero della Salute (che entrarà in vigore presumibilmente a marzo) che stabilisce gli “standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all’assistenza ospedaliera”. Il decreto, tra l’altro, attua leggi vecchie di dieci anni e mai applicate appieno, le quali puntano a garantire erogazioni di prestazioni sanitarie uniformi sull’intero territorio nazionale nel rispetto dell’equilibrio dei conti delle regioni, che sappiamo non stanno benissimo, e naturalmente della garanzia della tutela della salute.

La chiusura, dunque, di quattro dei dodici punti nascita abruzzesi (Ortona, Sulmona, Atri, Penne) è già scritta altrove. E a condannarli non è solo il fatto che non raggiungano i 500 parti l’anno (criterio non ragioneristico ma legato alla sicurezza di madre e neonato). Il decreto ministeriale stabilisce anche quale debba essere il bacino di utenza minimo e massimo entro il quale debbono operare le singole strutture. Per Ostetricia e ginecologia il bacino minimo corrisponde a 150 mila abitanti, quello massimo a 300 mila. Questo parametro, come si vedrà dalla classificazione degli ospedali, è addirittura preminente rispetto a quello dei 500 parti l’anno.

È evidente che dodici strutture sono troppe per una regione come l’Abruzzo e che due ostetricie come quelle di Ortona e Atri, con numeri vicini a 500, non possono comunque rispettare questo secondo vincolante parametro, anche in presenza di una improbabile perdurante esplosione demografica. Tra l’altro il decreto lascia poco spazio a deroghe. Il ministero della Salute prevede che la variabilità dei bacini d’utenza possa dipendere anche dai tempi di percorrenza dei cittadini, ma invita le Regioni ad «utilizzare i bacini minimi in presenza di territori a bassa densità abitativa», quindi le aree montane, «e quelli massimi in caso opposto». Nè si ottiene di più dimostrando che si tratti di presidi ospedalieri in zone particolarmente disagiate (potrebbe valere per esempio per Sulmona), distanti cioè più di 90 minuti dai centri hub o spoke di riferimento o 60 minuti dai pronto soccorso. In questi presidi il ministero garantisce un pronto soccorso, una chirurgia di emergenza che effettua interventi in day surgery, un reparto di medicina generale, ma non una sala parto. Naturalmente la chiusura dei quattro punti nascita non sarà immediata, perché i reparti che restano, soprattutto Chieti e Pescara, dovranno adeguare le proprie strutture all’aumento di utenza. È evidente per esempio che da Sulmona ci si sposterà a Pescara o Chieti, lo stesso da Ortona e Atri e Penne avrà come riferimento Pescara. Questo vorrà dire più posti letto, più personale, più spazi per le ostetricie dei due capoluoghi. L’assessore Paolucci ieri ha assicurato che le risorse ci sono. Ma sui tempi è giusto essere prudenti. Dunque nessuna smobilitazione “ad horas”.

Per finire, la questione dei bacini di utenza, comporterà una riclassificazione delle strutture ospedaliere. Tre le classi: ospedali di base con bacino di utenza tra 80mila e 150 mila abitanti (previsti i reparti di medicina interna, chirurgia generale, ortopedia, anestesia); ospedali di primo livello con bacino di utenza 150mila-300mila (qui si aggiungono i reparti di pediatria, cardiologia, neurologia, oncologia, oculistica, otorinolaringoiatria, urologia e ostetricia e ginecologia ma solo se i parti sono superiori a 500 l’anno, dunque il parametro guida per i punti nascita è il bacino di utenza). Ci sono infine gli ospedali di secondo livello con bacino di utenza tra 600mila e 1 milione e 200mila abitanti (qui si aggiungono ai reparti appena citati le discipline più complesse).

Da quest’ultimo dato parte anche la necessità per la Regione di pensare a due grandi hub ospedalieri che affianchino una serie di ospedali di base e di primo livello. Uno dei due hub dovrebbe essere l’ospedale di Chieti-Pescara che D’Alfonso ha annunciato di voler costruire «sulla striscia di Gaza» di Sambuceto e che le opposizioni gli hanno subito impallinato. Ma questa è un’altra polemica.

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