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2 Agosto

Oggi, ma nel 1926, a Viareggio, in provincia di Lucca, in Municipio, si riuniva il comitato, filo-governativo, composto dall'avvocato Italo Foschi, di Corropoli, in quel di Teramo, dall'ingegnere Paolo Graziani, di Bologna, e dall'avvocato Giovanni Mauro, di Domodossola, in quel di Verbano-Cusio-Ossola. Il trio si era dato appuntamento per riformare, sotto l'egida del fascismo, e nel più breve tempo possibile, il sistema di norme posto alla base del funzionamento del calcio nostrano. In quella sede veniva redatta quella che passerà alla storia del pallone tricolore come la Carta di Viareggio (nella foto, alcune pagine). Di fatto aprirà al professionismo e regolamenterà la presenza degli oriundi -richiesta da Edoardo Agnelli allo stesso Benito Mussolini- nelle compagini societarie. Anche in linea con il bisogno di elevare il sentimento nazionale tipico del ventennio, chiudeva le rose agli stranieri. Però consentiva, finalmente, ai campioni italiani di potersi spostare, per motivi di ingaggio, fuori dai confini propria regione di nascita. La Carta disciplinava anche lo spinoso tema dei compensi dovuti agli atleti considerati non più dilettanti. Veniva poi anticipata quella che sarebbe divenuta la Divisione nazionale, ovvero il torneo aperto a tutto lo stivale, tentando una sorta di pionieristica fusione, nella sfida allo scudetto, tra squadre del nord e del sud. Il documento di Viareggio veniva approvato dal Comitato olimpico italiano e reso operativo lo stesso 2 agosto di quel 1926, data l'urgenza di risolvere la situazione alla base della necessità di convocare i tre delegati in rappresentanza del panorama calcistico ed arbitrale del Belpaese. L'occasione per l'intervento in orbace nel mondo della palla da far roteare coi piedi era stata la grave crisi della Figc, guidata dal gerarca bolognese Leandro Arpinati, verificatasi nella primavera precedente. Al termine del campionato '25-'26, che era stato inquinato pesantemente dalle cosiddette liste di ricusazione, ovvero dagli elenchi con i quali i club di peso ponevano all'indice i direttori di gara a loro non graditi, era scoppiata una pesante contestazione delle giacchette nere. Protesta che era poi sfociata nello sciopero ad oltranza dei direttori di gara. Cosa mai accaduta prima, anche perché i fischietti, fino ad allora, erano ex dirigenti ed ex giocatori che dovevano essere obbligatoriamente tesserati per una sola società e perciò erano ritenuti di parte. Il 27 giugno precedente il consiglio federale aveva rassegnato le dimissioni ma, anziché convocare l'assemblea per le nuove elezioni, aveva delegato i suoi poteri al Coni, presieduto dal gerarca Lando Ferretti, di Pontedera, in quel di Pisa, in carica dal 1925.

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