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21 Marzo

Oggi, ma nel 1979, a Cuneo, in via degli Angeli, esplodeva la Bmw dell'imprenditore Attilio Dutto, del 1930, che morirà subito dopo il trasferimento nell'ospedale cittadino di Santa croce, per le ustioni riportate nell'agguato dinamitardo in stile malavitoso. La vittima, ex muratore, con la licenza elementare, era stata tra i protagonisti della speculazione edilizia della Costa azzurra, a partire dall'inizio degli anni '70. Poi aveva acquistato, dal faccendiere in odor di mafia Michele Sindona, correlato al fallimento del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi e alle trame ordite dalla loggia massonica deviata P2 di Licio Gelli, la Paramatti vernici. La ditta, fondata a Torino nel 1847, dal farmacista Giuseppe Ratti, era stata rinominata dopo l'arrivo di Annibale Paramatti, nel 1870, come comproprietario. Nel corso degli anni '70 era sia divenuta l'unica società italiana di vernici quotata nella borsa di Milano, ma anche oggetto di ardite speculazioni finanziarie che nulla avessero a che fare col segmento merceologico di produzione. Verrà salvata dal gruppo J colors di Lainate, in quel di Milano. La soppressione di Dutto, il cui omicidio (nella foto, la vettura sventrata dalla bomba) fece scalpore, rimarrà un giallo senza colpevoli assicurati alla giustizia. Nonostante la verosimile rivendicazione, attribuita alle Brigate rosse, il suo verrà considerato un cadavere necessario: per aver pestato i piedi a qualche potente, mai identificato, per trarne profitto. Uno dei suoi principali collaboratori del tempo era Flavio Briatore, di Verzuolo, in provincia di Cuneo. Personaggio dalla chiacchierata ascesa economica e di potere, in quegli anni, tra l'altro, per conto di Ilario Legnaro e Gaetano Corallo, ritenuti in qualche modo collegati al boss di Cosa nostra Nitto Santapaola, per guadagnare una percentuale organizzava trasferte di uomini d'affari nelle rinomate sale da gioco italiane, particolarmente nel casinò di Saint Vincent, in Valle d'Aosta. Inoltre, al delitto costato la vita a Dutto risulterebbe legata pure la sparizione di 30 miliardi di lire, cifra rientrante nel non limpido patrimonio accumulato con il boom dei mattoni.

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