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25 DICEMBRE

Oggi, ma nel 1870, a Bardonecchia, in provincia di Torino, veniva fatto cadere l’ultimo diaframma di roccia che separava la cittadina valsusina dal corrispondente abitato francese di Modane, sotto il monte Frejus, alto 2946 metri sul livello del mare, nelle Alpi Cozie. Il traforo ferroviario, lungo 13,657 chilometri, si basava sul progetto redatto da Germaine Sommeiller, Sebastiano Grandis e Severino Grattoni, con la partecipazione di Quintino Sella, quale ingegnere di prima classe del distretto minerario torinese, chiamato a risolvere il problema dell’areazione della galleria.

Proprio nel giorno di Natale di quel 1870, alle 4 e 25 di mattina, l’ingegner Grattoni inviava un telegramma ai suoi superiori spiegando che poco prima di abbattere l’ultima parete divisoria, lo strato da rimuovere era così sottile da permettere di poter parlare da un lato all’altro. E il grido ripetuto da entrambe le parti fosse: “Viva l’Italia”, come verrà riferito nell’opuscolo intitolato proprio con l’urlo patriottico, scritto da Francesco Dall’Ongaro e pubblicato a Firenze dallo stabilimento Civelli in quello stesso anno. Dal punto di vista commerciale, ma anche per il trasporto passeggeri, la nuova via su rotaia non aveva precedenti: proiettava in Europa attraverso quella canna scavata sotto il valico tra la Val di Susa (nella foto, particolare, l’apertura a Bardonecchia con in arrivo un locomotore a vapore dalla Francia) e l’alta Moriana.

Come testimonierà il monumento di Luigi Belli in piazza Statuto, nel capoluogo piemontese, dedicato proprio al traforo ferroviario del Frejus, era l’arrivo della tanto agognata modernità. I lavori erano cominciati il 31 agosto 1857 mentre l’inaugurazione avverrà il 17 settembre 1871. Il 5 gennaio 1872 vi transiterà, per la prima volta, la “Valigia delle Indie”, il treno che collegherà Londra a Brindisi. Per il traforo stradale, che correrà parallelo, si dovrà attendere il 12 luglio 1980 e comporterà un ennesimo scatto in avanti verso il progresso.