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4 FEBBRAIO

Oggi, ma nel 2005, a Baghdad, in Iraq, sulla Route Irish, a ridosso dell’aeroporto, Mario Lozano, addetto alla mitragliatrice del posto di blocco statunitense 541 appartenente alla 42ª divisione della New York Army national guard, apriva il fuoco contro la Toyota Corolla grigio metallizzato, che trasportava Nicola Calipari, di 52 anni, capo dipartimento della Seconda divisione Ricerca e spionaggio all’estero del servizio per le informazioni e la sicurezza militare, uccidendolo. Era stato negoziatore nel contestuale rilascio della giornalista del quotidiano comunista “Il Manifesto”, Giuliana Sgrena, rapita il giorno precedente dall’organizzazione del Jihād.

La morte dello 007 originario della Calabria (nella foto, particolare, la prima pagina del “Manifesto” con la foto di Calipari, nell’edizione del 7 marzo 2005, in occasione dei funerali di Stato, officiati a Roma in Santa Maria degli Angeli) innescava il conflitto diplomatico tra Italia e Stati Uniti d’America e darà vita a diverse ricostruzioni dell’accaduto, tra le quali una versione italiana ed una statunitense. Secondo la prima, basata particolarmente sulla testimonianza della cronista liberata verosimilmente per 5 milioni di euro di riscatto, i militari a stelle e strisce avrebbero sparato con l’intenzione di non farla tornare viva nel Belpaese.

Stando alla posizione Usa, invece, il superpoliziotto tricolore sarebbe stato centrato alla testa accidentalmente da un proiettile deviato, tra quelli sparati alla vettura che procedeva a 100 chilometri all’ora, in direzione dell’Alt. Calipari verrà insignito della medaglia d’oro al valor militare alla memoria e reputato eroe nazionale, sacrificatosi nel compimento del suo dovere anche per aver fatto da scudo umano alla Sgrena. Per Lozano, invece, seguirà un tortuoso iter giudiziario che, sostanzialmente, porterà l’Italia a non avere giurisdizione secondo la consuetudine internazionale detta “Legge dello zaino”. La vicenda, di grande risonanza mediatica planetaria, inquadrava la sicura del numero due del Sismi, secondo del generale Nicolò Pollari, quale mediatore nelle trattative di liberazione, conclusesi con successo, delle operatrici umanitarie Simona Pari e Simona Torretta, dei tre addetti privati alla sicurezza Umberto Cupertino, Maurizio Agliana e Salvatore Stefio. Ma, di converso, anche degli insuccessi delle missioni di recupero del contractor Fabrizio Quattrocchi, fatto fuori il 14 aprile 2004, e del collaboratore del mensile “Diario”, diretto da Enrico Deaglio, Enzo Baldoni, giustiziato il 26 agosto 2004.