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6 GENNAIO

Oggi, ma nel 1964, a Gerusalemme, nel giorno dell’Epifania, si concludeva la visita in Terra santa di Papa Paolo VI, con il commiato da re Hussein di Giordania e l’emissione del Breve apostolico col quale il pontefice conferiva la Rosa d’oro, tra le massime onorificenze vaticane, alla basilica della natività. Nella trasferta, iniziata il 4 gennaio precedente, da Roma, il 262° successore di San Pietro, Giovanni Battista Montini, futuro santo, il 14 ottobre 2018, elevato da Papa Francesco, era il primo capo della Chiesa cattolica non solo a salire su un aereo, il volo Alitalia “Leone Pancaldo”, ma anche a compiere il primo pellegrinaggio nei luoghi di vita, di patimento e soprattutto di morte di Gesù Cristo.

Pur avendo rinunciato, altro primato, alla tiara papale, Paolo VI, viaggiava con la croce di Teodolinda detta anche “croce pettorale di San Gregorio Magno”, generalmente conservata nel duomo di Monza, e con tale paramento aveva avuto udienza con il patriarca ecumenico di Costantinopoli, Athenagoras, il 5 gennaio (nella foto, particolare, proprio in quell’incontro, con il crocifisso del 603 al collo), si era inginocchiato ed aveva baciato il sepolcro del Signore. La giornata della manifestazione della divinità di Gesù Cristo all’umanità attraverso la visita dei magi, secondo il rituale del cristianesimo occidentale, vedeva Paolo VI portare il proprio saluto della santa grotta di Betlemme. Insieme al Concilio vaticano II, quella sortita nei luoghi iconici della nascita dei presupposti fondativi la Santa sede, saranno i due segni lasciati da Montini alla storia del cattolicesimo.

Sia all’arrivo, davanti alla Porta di Damasco, che al rientro a Fiumicino, l’accoglienza per il Santo padre era stata e sarà al di sopra di ogni aspettativa. Significativo, per rievocare quella simbolica spedizione, sarà il volume scritto dal padre francescano Ignazio Mancini, intitolato “Con Paolo VI in Terra santa”, che verrà pubblicato nel marzo di quel 1964, a Gerusalemme, dalla tipografia della Custodia di Terra santa nel convento di San Salvatore, con tanto di imprimatur del patriarca di Gerusalemme, Alberto Gori.