Assaltavano i bancomat con le bombe: 7 in carcere 

Il giudice: «Sono un pericolo per l’ordine pubblico». Incastrati da Dna e gps 

CHIETI. Assaltavano i bancomat con bombe talmente potenti da diventare un «pericolo per l’ordine pubblico» e creare «senso di allarme nella collettività». Lo scrive il giudice Andrea Di Berardino nell’ordinanza che spedisce in carcere sette componenti della banda foggiana entrata in azione, in provincia di Chieti, fra settembre e ottobre del 2021 e accusata di tre colpi, che hanno fruttato 76mila euro, alla Bper di Miglianico, alle Poste di Villa San Vincenzo di Guardiagrele e alla Bcc di Canosa Sannita. L’operazione dei carabinieri del nucleo investigativo del comando provinciale, con la collaborazione delle compagnie di Chieti, Ortona e Lanciano, è scattata all’alba di ieri dopo un’inchiesta durata otto mesi e coordinata dal pm Giancarlo Ciani. Gli indagati sono tutti accusati di associazione a delinquere finalizzata al furto di autovetture e alla fabbricazione, detenzione, porto e utilizzo in luogo pubblico di ordigni esplosivi rudimentali, le cosiddette «marmotte», per depredare gli sportelli automatici di banche e uffici postali; bombe capaci di proiettare schegge anche a 35 metri di distanza.
CHI SONO
In cella sono finiti Riccardo Masciavè, 34 anni, Angelo Dibartolomeo (35), Girolamo Rondella (35), Sabri Yermani (32), Giandomenico Palmieri (37), Carlo Grossi (32) e Roberto Russo (22), tutti residenti tra Stornara e Orta Nova (gli ultimi tre si trovavano già in carcere). Per l’ottavo indagato, Marco Conversano (27), anche lui di Orta Nova, l’unico incensurato, è stato disposto l’obbligo di dimora.
LA BASE OPERATIVA
Il covo della banda era un appartamento di Francavilla al Mare, sulla statale 16, nelle disponibilità di Dibartolomeo: una vera e propria base operativa dove gli indagati sono sempre transitati per l’organizzazione logistica, per il furto delle auto staffetta, per nascondersi subito dopo i colpi e per calcolare i tempi delle azioni criminali durante i sopralluoghi preliminari agli assalti. A incastrarli sono state le immagini delle telecamere di sorveglianza nelle aree dei furti, l’esame del Dna prelevato sui reperti, il cui esito è stato comparato con i profili genetici presenti nella banca dati nazionale, e l’esame informatico dei gps delle auto impiegate per i raid. «Un’indagine di qualità», la definisce il colonnello Alceo Greco, comandante provinciale dell’Arma, affiancato dai tenenti colonnelli Vincenzo Orlando e Massimo Di Lena e dai capitani Placido Abbatantuoni e Luigi Grella.
I PRIMI ARRESTI
I sospetti si sono indirizzati verso il gruppo di criminali foggiani dopo il furto al bancomat di Fara San Martino, avvenuto il 9 ottobre, durante il quale un residente di 78 anni si è affacciato dal balcone e ha sparato contro i ladri, colpendo Grossi a un fianco. I complici hanno accompagnato il ferito all’ospedale di Vasto: ricostruendo il tragitto, analizzando le immagini delle telecamere, raccogliendo le testimonianze in ospedale e trovando il Dna di Grossi su una delle auto utilizzate per la fuga, i carabinieri di Lanciano sono arrivati anche a Rondella, Yermani e Dibartolomeo, poi arrestati nelle settimane successive.
GLI INDIZI
A quel punto, gli investigatori hanno proceduto a ritroso nel ricollegare agli indagati anche altri assalti agli sportelli automatici avvenuti, in precedenza, in comuni limitrofi. Attraverso l’analisi dei tabulati telefonici sono emersi i contatti costanti di Dibartolomeo e Rondella con Masciavè e, a catena, quelli con gli altri indiziati. È così venuto fuori che quest’ultimo ha affittato a noleggio a Cerignola una Fiat Tipo, poi usata per raggiungere i luoghi in cui si sono verificate le azioni criminali, come conferma il gps di cui l’auto è dotata. I gravi indizi di colpevolezza emersi con l’analisi delle celle telefoniche agganciate dalle utenze degli indagati, riassume il giudice, si combinano con i gps, installati sulla vettura «inequivocabilmente noleggiata da Masciavè», nonché su quelle rubate e utilizzate per raggiungere gli Atm; con la prova filmata della presenza, sui luoghi dei reati, delle automobili personali di Conversano, di Yermani e di Rondella; con il profilo genetico di Grosso isolato su un guanto e su un passamontagna, rispettivamente rinvenuti all’interno delle Alfa Romeo Giulietta (da qui il nome dell’operazione, Juliet) impiegate per fuggire dopo gli attacchi ai bancomat di Canosa (tentato) e Guardiagrele.
LE “MARMOTTE”
Nel corso delle indagini, i carabinieri hanno sventato almeno due assalti. Lo scorso 29 settembre i malviventi, intercettati a Miglianico, hanno gettato dalla “solita” Giulietta due marmotte, ovvero i manufatti metallici a forma di “T” imbottiti con 600 grammi di polvere pirica ciascuno, le cui estremità vengono inserite nella fessure che erogano le banconote. Il giudice parla di «elevato grado di offensività» di questi ordigni «rudimentali ma non meno micidiali», le cui potenzialità sono «evincibili dagli evidenti effetti distruttivi prodotti, oltre che sulle vetrine esterne dello sportello, anche nei locali interni della filiale». Ecco perché la banda può essere definita come «un nucleo dall’elevata professionalità, capace di armarsi e costituente un pericolo per l’ordine pubblico». La decisione di chiedere il carcere per sette degli indagati è legata «alle professionali modalità della condotta, attentamente progettate nei dettagli (scelta dell’obiettivo, orario, furto delle autovetture, preparazione e piazzamento dell’esplosivo, fuga, cambio dell’automobile); agli ingentissimi danni provocati alle filiali bancarie (al di là della singola refurtiva); al senso di allarme, di diffuso e generalizzato pericolo che queste azioni suscitano nella collettività in orari notturni di maggiore vulnerabilità sociale».
LA DIFESA
Gli indagati, assistiti dagli avvocati Vincenzo Bufano, Francesco Americo e Vincenzo Desiderio, compariranno davanti al giudice nei prossimi giorni e potranno fornire la loro versione dei fatti.