Fine dell’esilio, il sindaco torna in paese 

Il Gip di Avezzano: il divieto di dimora non è più attuale. E alle 8 D’Angelo ha ripreso il suo posto dopo cinque mesi di allontanamento

CASACANDITELLA. No, non chiamatelo più l’“esule”. In paese è tornato ad essere per tutti “Peppì”. Quando alle 8 di ieri, senza avvisare nessuno, si è presentato all’ingresso del municipio, chi lo ha visto ha strabuzzato gli occhi ed è andato di corsa a salutarlo. Gli amici di sempre così come anche gli avversari politici. Il tempo di arrivare nella stanza degli affari finanziari del Comune - dove ha lavorato per anni prima di prendere l’aspettativa non retribuita per svolgere il mandato di sindaco - ed ecco che tra personale in servizio, assessori e consiglieri di maggioranza è scattato l’abbraccio della solidarietà e del fraterno rientro. Giuseppe D’Angelo da ieri è tornato ad essere a tutti gli effetti il sindaco di Casacanditella.
L’INCHIESTA SULLA CORRUZIONE E I RICORSI. Era il 27 settembre del 2017 quando il gip del tribunale di Avezzano firmò nei suoi confronti l’ordinanza di misura cautelare degli arresti domiciliari. L’inchiesta della Procura marsicana lo accusa di avere preso tangenti per alcune opere pubbliche ma lui non sapeva che quelle donazioni fatte al comitato feste del paese fossero tangenti. La difesa di D’Angelo impugnò davanti al Tribunale del riesame il provvedimento di arresto e i giudici sostituirono gli arresti domiciliari con la sospensione dall’esercizio dei pubblici uffici. Il tribunale destituì il primo cittadino scelto dagli elettori ma ciò, per legge, non si può fare tant’è che sia il procuratore dell’Aquila e sia la difesa presentano ricorso in Cassazione. E la suprema corte dette ragione al sindaco sulla base di due motivi. Il primo: una carica elettiva non può essere annullata da un giudice; il secondo: il tribunale non ha motivato la bocciatura degli indizi a sua discolpa. Annullata con rinvio l’ordinanza, il Riesame dell’Aquila, però, decise di adottare un nuovo provvedimento: quello, appunto, del divieto di dimora. E così, dal 5 aprile scorso è cominciato l’esilio del primo cittadino.
LA SORPRESA. È arrivata l’altro giorno, portata a mano dai carabinieri del paese: il gip Maria Proia del tribunale di Avezzano, visto il parere favorevole del pubblico ministero, ha deciso che “la misura in corso di esecuzione - il divieto di dimora, appunto - non è più attuale né proporzionata alla sanzione che si ritiene possa essere irrogata e revoca la misura del divieto di dimora”. Insomma, in tutto cinque mesi e mezzo di esilio, sei mesi di sospensione dalle funzioni di sindaco, 23 giorni di arresti domiciliari. Per un periodo ha anche firmato gli atti del Comune da sindaco, ma poi il prefetto lo ha sospeso dalla carica e non fatto più niente. E ieri il reingresso nel suo borgo.
TRA CONTABILITÁ E DELIBERE. «Ho la pelle d’oca», dice Giuseppe D’Angelo rimettendo piede in municipio, «è quasi un anno che sono lontano da qui. Non ho avvisato nessuno del mio rientro, ho incontrato qui davanti l’assessore Nada Cavallucci e la vigilessa, non lo sapevano neanche loro. Ho ripreso il mio posto ma sono andato prima nella mia stanza, all’ufficio finanziario, perché lavoro in quel settore. Rimetto un po’ in ordine la contabilità anche se tutto è a posto grazie alla professionalità della segretaria comunale».
UNDICI MESI SENZA INDENNITÁ. «Ho vissuto un periodo durissimo della mia vita con questa inchiesta», riprende il sindaco, «soprattutto dal punto di vista psicologico e poi anche finanziario: sono in aspettativa dal lavoro e non ho lo stipendio e poi sono 11 mesi che non prendo neanche le indennità da sindaco, circa 800 euro netti al mese. Con questi soldi devo viverci. In tutto questo periodo», spiega D’Angelo, «ho vissuto a Francavilla al Mare, non potevo firmare gli atti ma davo consigli alla giunta, anche se mi sono sempre astenuto dal prendere decisioni o altro. Ho dovuto rispettare quelle che sono le regole. Rimandavo molto alla segretaria comunale che ha fatto un ottimo lavoro».
NIENTE DIMISSIONI. «Ma la decisione più importante», sottolinea D’Angelo, «era se lasciare l’incarico di sindaco. Chiaramente, dimettendomi sarei tornato a fare il responsabile dell’ufficio finanziario del Comune prendendo lo stipendio, ma avrei tradito la fiducia di tanti cittadini che mi hanno votato, ma anche perché so di non avere fatto nulla in questa vicenda giudiziaria. Allora mi sono detto di resistere. Mi sono imposto questa battaglia con me stesso e quella che ho ottenuto è stata una vittoria importante, anche se ne vengo fuori distrutto psicologicamente e per la salute visto che adesso fumo tre pacchetti di sigarette al giorno anziché l’iniziale uno. Nel frattempo è morta mia moglie. Sono figlio unico, non ho figli, non ho genitori, non ho parenti. Saltavo il pranzo e con qualche amico andavo a cena. C’è anche chi da Casacanditella veniva a prendersi i miei panni da lavare e poi li riportava. Il paese mi è stato vicino».
IN ATTESA DEL GIUDIZIO. Come finirà? «Non ne ho idea», risponde il sindaco, «ma è anche vero che non ho paura del processo perché so di non avere fatto nulla. Gli atti e le testimonianze prodotti dicono che ho preso soldi per la festa e non per uso personale: 8.560 euro per la Madonna dell’Assunta e per un’edicola di Sant’Anna, a Semivicoli, soldi percepiti dai comitati. Ora», conclude D’Angelo, «mi restano tre anni di mandato e vorrei portarli a termine. Ce la farò: sono una persona onesta».
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