La città dà l’addio a Manzini, pittore che donò arte al Vico 

È morto a 85 anni: era il papà dell’ideatore di Rocco Schiavone Oggi una cerimonia nella cappella del cimitero di Sant’Anna

CHIETI. Chieti dà l’ultimo saluto oggi al pittore e scrittore Francesco Manzini, il papà di Antonio Manzini, l’ideatore del popolare poliziotto fuori dagli schemi Rocco Schiavone, interpretato in tv da Marco Giallini. La notizia della scomparsa di Manzini, 85 anni, padre oltre che di Antonio anche della sorella Laura, ha subito fatto il giro della città. Seppure si fosse trasferito a Roma con la moglie Giovanna Zecca, l’artista era rimasto legato alla sua Chieti. Dove infatti tornerà la salma. I funerali si sono svolti ieri a Roma, nella chiesa della Beata Vergine del Carmelo Mostacciano, ma oggi alle 10 a Sant’Anna ci sarà una seconda cerimonia religiosa prima della tumulazione nella cappella di famiglia nel cimitero teatino.
Manzini studiò al liceo classico Vico, a cui nel 2014 ha donato l’opera intitolata L’Arca dei Quattro Cantoni, un polittico a trasformazione la cui realizzazione lo impegnò per 4 interi anni, tra 1983 e 1987: l’opera, alta tre metri e larga tre metri e mezzo, si compone di 17 tele e varie sculture polimateriche. Il polittico, testimonianza del legame verso la scuola e la città, è conservata nell’aula magna del convitto Vico che da allora è stata intitolata all’artista. Al Vico ha donato anche le due grandi tele Morte di J.N. desaparecido e Nascita di J.N. desaparecido.
Dopo la maturità classica, si laureò in giurisprudenza e fu stato assunto all’Agip. In questo contesto conobbe l’allora presidente dell’Eni, Enrico Mattei, rimanendone colpito e affascinato da personalità e cultura. Per l’Eni lavorò come redattore capo alla rivista “Ecos”. Rivista che ebbe risonanza internazionale anche grazie a collaboratori di spicco quali Gianluigi Piccioli anche lui originario di Chieti, Francesco Forte, Marcello Colitti, Gianni Rocca, Sergio Ruffolo e Giovanni Tinelli. Poi, l’interesse per le mostre, impegnandosi in iniziative e manifestazioni di grande rilevanza mentre sviluppava quello che lui stesso ha definito «il bacillo della pittura». Nel 1970 ebbe l’opportunità di dipingere, per la Finsider e l’Eni, un murale di 300 metri quadrati che fu esposto al Museo dell’economia nazionale di Mosca. L’opera ebbe un successo tale che segnò la svolta della carriera di Manzini. Nel 1973 trasferì lo studio in via Germanico a Roma, dove col pittore Giokaj avviò anche una stamperia d’arte, che divenne ben presto il punto di incontro di artisti e critici. Si intensificarono così le mostre, in Italia e all’estero. Chieti gli ha dedicato nel 2006 una mostra antologica alla Civitella. L’arte di Manzini non è solo pittura. Ci sono anche racconti e romanzi. Tra cui: “In attesa del corvo” del 1997, “Un baule pieno di stracci” (2009) e “In bocca al lupo” (2011). Nel 2017 ha pubblicato la sua ultima opera “Il cantastorie. Le interiora di un ottuagenario”. (f.d.)
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