Marinaio 21enne morto sulla nave La famiglia: «Vogliamo la verità» 

La Procura di Brindisi chiede l’archiviazione per il caso di Giuseppe Gelsomino: «È stato un suicidio» I familiari si oppongono: «Troppi misteri, non doveva avere la pistola. Nessun esame sul cellulare»

LANCIANO. Per la procura di Brindisi l’inchiesta sul decesso di Giuseppe Antonio Gelsomino, 21 anni, marinaio di seconda classe trovato morto per un colpo d’arma da fuoco alla testa nella sala mensa della nave Staffetta ormeggiata a Brindisi la mattina del 6 agosto va archiviata: è stato un suicidio, secondo la procura. Per la famiglia, invece, Giuseppe non si sarebbe mai tolto la vita, e i tanti dubbi sul caso spingono l’avvocato Daniela Giancristofaro ad opporsi all’archiviazione e il papà di Giuseppe, Paolo, a lanciare un appello ai genitori che hanno ragazzi che vogliono fare carriera militare: «State sempre sull’attenti».
L’ARCHIVIAZIONE Dopo 9 mesi di indagini il procuratore di Brindisi Pierpaolo Montinaro ha chiesto al giudice l’archiviazione dell’inchiesta aperta contro ignoti per istigazione al suicidio di Giuseppe, marinaio sulla nave Staffetta, trovato morto per un colpo di pistola alla testa. Una morte che ha lasciato sgomenti genitori, familiari, amici che non hanno mai creduto, e non credono, che il 21enne si sia tolto la vita. Ma per la procura, che ha affidato le indagini ai carabinieri di Brindisi, non ci sono altre spiegazioni. E nel fascicolo motiva la richiesta al giudice. Con l’autopsia, fatta da Antonio Carusi e dal perito della famiglia Raffaele Ciccarese, si è evidenziato che il colpo, uno solo, è stato sparato dal basso verso l’alto appoggiando o quasi la Beretta 92/fs alla testa. Il colpo è entrato dalla tempia destra ed è fuoriuscito da quella sinistra, ed è compatibile con il suicidio. Poi l’esame della pistola: non sono state trovate tracce, né contatti papillari idonei per un’indagine dattiloscopica. Il telefono non ha dato risposte perché non è stato aperto e non è stato esaminato. L’inchiesta è da archiviare.
I DUBBI Ma per la famiglia di Giuseppe, gli amici che con lui, pochi giorni prima della morte, il 20 luglio, avevano festeggiato gioiosi il compleanno, il marinaio, imbarcato felicemente da un anno sulla Staffetta, non si sarebbe mai suicidato. E le risposte date dall’inchiesta non sono per nulla esaustive. «Ci opporremo all’archiviazione», annuncia l’avvocato Giancristofaro, «perché non quadrano diversi elementi, in primis proprio la pistola trovata accanto a Giuseppe. Non doveva averla, non era in dotazione. E prenderla poi, non era facile: questa era in una rastrelliera chiusa a chiave e con il lucchetto; le chiavi sono custodite in una cassaforte a sua volta chiusa con una chiave che viene data alla guardia di seconda classe più anziana. Giuseppe avrebbe dovuto fare un giro incredibile per averla. Poi sulla pistola non sono state trovate tracce evidenti per ricavare le impronte? La cosa più strana è il telefono che per noi è l’elemento chiave: non è stato analizzato perché non si è riusciti ad aprirlo. Era in carica, quindi Giuseppe lo aveva usato o lo stava facendo: perché mettere in carica il telefono se pensi di farla finita? Nel cellulare lasciato a Lanciano c’erano foto, chat piene di vita e di sogni che non fanno pensare ad un ragazzo stanco di vivere». E poi la mancanza di telecamere sulla nave, il colpo non udito dal collega che dormiva sotto la mensa. «Bisogna vederci chiaro», dice l’avvocato.
L’APPELLO Tanti dubbi e soprattutto tanto dolore per la famiglia di Giuseppe che non si dà pace. E arriva l’appello di papà Paolo ai genitori dei ragazzi che fanno carriera militare: «Dico a questi genitori di non stare tranquilli e sereni, ma di vigilare sui figli, di stare sull’attenti». Una frase forte, di un papà che cerca risposte per la morte tragica di un figlio che sorrideva alla vita e aveva mille sogni da inseguire e realizzare.