Si finge incinta e ricatta l’amante: «Paga o dico tutto a tua moglie» 

Un fruttivendolo costretto a consegnare 25mila euro per nascondere la relazione extraconiugale Ora la protagonista delle minacce è finita sotto processo per estorsione: nei guai anche la sorella

CHIETI. Si finge incinta ed estorce 25mila euro a un fruttivendolo con cui aveva fatto sesso occasionalmente. Magdalena Miko, 64enne di origini ungheresi, è ora finita sotto processo insieme alla sorella Erzebeth, di tre anni maggiore, che l’avrebbe aiutata a portare a termine «il piano criminale». Le imputate, codice penale alla mano, rischiano una condanna da cinque a dieci anni di carcere: per la procura di Chieti, dal giugno del 2016 al marzo del 2017, si sono fatte consegnare il denaro dietro la minaccia di svelare la fugace relazione extraconiugale alla moglie della vittima. Ieri mattina, davanti al giudice Maurizio Sacco e al pm d’aula Simonetta Aleo, è stato ascoltato il commerciante, 69 anni, che ha rinunciato a costituirsi parte civile e a chiedere i danni. Le due donne, difese dagli avvocati Gianni Piscione e Angelo Carminucci, negano ogni accusa e sono convinte di uscire completamente pulite dalla vicenda giudiziaria.
Dalle indagini della polizia è venuto fuori che il fruttivendolo ha conosciuto Magdalena ed Erzebeth perché inquiline di un appartamento di proprietà della moglie. «Abbiamo avuto un solo rapporto sessuale», ha raccontato l’uomo, visibilmente imbarazzato, in tribunale, «non ci ho capito niente, sono stato uno stupido. Venti giorni dopo, mi ha telefonato e mi ha detto di essere incinta. Al tempo stesso sono iniziate le richieste di denaro. La prima volta le ho portato a casa 300 euro: mi ha fatto vedere tre o quattro bottigliette sopra al tavolo dicendo che erano medicine. Sapevo che mi stava prendendo in giro, ma lei continuava a dire che avrebbe raccontato tutto a mia moglie. E allora ho accettato di pagare per non rovinare la famiglia. Anche perché Magdalena sosteneva di avere delle prove». Stando alla denuncia, le minacce sono arrivate soprattutto via sms. «Ma li ho cancellati tutti», ha precisato la vittima. Un ruolo di primo piano lo avrebbe rivestito anche la sorella. «La consegna del denaro», ha continuato il fruttivendolo, «avveniva a mano. Lei si presentava all’appuntamento mettendosi non so bene cosa sulla pancia per simulare la gravidanza. Questi incontri non si verificavano mai alla presenza di altre persone. Passavano e ripassavano con la macchina davanti al negozio, soprattutto intorno all’orario di chiusura: io uscivo quando non c’era mia moglie. A un certo punto, all’inizio di gennaio del 2017, mi hanno telefonato per dire che il bambino era nato». L’esborso di denaro è stato notevole. «Ormai, invece di pagare i fornitori, pagavo lei. Dove prendevo i soldi? In banca ho ritirato 11 o 12mila euro, poi c’erano i risparmi e gli incassi giornalieri», ha risposto il commerciante, incalzato dalle domande dell’avvocato Piscione. L’ultima richiesta estorsiva risale al 6 marzo del 2017, poco prima che il fruttivendolo raggiungesse gli uffici della questura per formalizzare la querela. «Mi ha detto che servivano 6mila euro perché doveva ricoverarsi in Neurologia psichiatrica e doveva lasciare il bambino dal fratello». Il giorno stesso della denuncia, come ricordato in aula dal sostituto commissario Mauro Sablone, le due donne sono state fermate vicino all’attività commerciale. La prossima udienza è in programma il 3 marzo del 2021: verranno ascoltati i testimoni della difesa.