Art Bonus, il Covid non ferma i mecenati italiani 

Sono 16.800 i piccoli e grandi imprenditori che hanno deciso di investire nel patrimonio pubblico

ROMA. Il più popolare è forse un oste di Ferrara, che qualche giorno fa ha telefonato al sindaco per annunciare che avrebbe finanziato di tasca sua i quasi 22 mila euro che serviranno al restauro della statua del Savonarola, monumento molto amato dai ferraresi e a lui particolarmente caro, tanto da averne mutuato il nome per la sua rinomata Hostaria. Ma la generosità è di casa anche a Napoli, dove cinque imprenditori si sono consociati per permettere al Museo di Capodimonte di annettere alla sua collezione la strepitosa e rara Coppaflora, cesellata in argento da Vincenzo Gemito, la cui mostra si è aperta proprio in questi giorni. A poco più di 5 anni dal varo della legge, cresce il successo di Art Bonus, la legge varata nel 2014 che permette ai privati di investire sul patrimonio pubblico ricevendo in cambio dallo Stato uno sgravio fiscale del 65%. E i mecenati italiani non sono stati fermati neppure dal Covid, tanto che sale la pressione sul ministero dei Beni culturali e sul governo perché venga allargata ancora la platea dei beni e delle attività culturali che possono usufruire delle erogazioni liberali. «Abbiamo avuto donazioni per decine di milioni anche durante i mesi bui del lockdown, in totale quasi 70 milioni di euro nel corso del 2020», rivela Carolina Botti di Ales, direttore, responsabile di Art Bonus nei rapporti con il Mibact, ospite ieri di Ansa incontra insieme con Lorenzo Casini, capo di gabinetto del Mibact, Mario De Simoni, presidente e Ad di Ales e Antonio Alunni, Ceo di Fucine Umbre e responsabile del gruppo tecnico cultura di Confindustria. «Siamo veramente sorpresi - confida Botti -. È chiaro che a fine anno ci sarà una riduzione in termini complessivi, rispetto agli altri anni, ma siamo comunque andati avanti ». Il bilancio, ad un lustro di distanza dall'avvio di una norma nella quale non tutti all'inizio credevano davvero, appare oggi decisamente confortante, con una raccolta vicinissima al traguardo dei 500 milioni di euro (487), risorse garantite da un esercito che conta al momento 16.800 mecenati, per 4.025 interventi. Tanti singoli cittadini, e anche piccole comunità, sottolinea Botti, ma importante è anche la quota di aziende. Il segnale, insomma, c'è: «Per gli imprenditori è un ritorno ad una responsabilità importante», sottolinea Antonio Alunni, che sembra augurarsi una sorta di nuovo Rinascimento: «Se le nostre città sono magnifiche questo dipende dai mecenati del passato, che comunque erano sempre commercianti, imprenditori, finanzieri, banchieri. È un senso di responsabilità che dobbiamo tornare ad avere in modo forte e diffuso». Ed è proprio sul concetto di diffuso, spiega il responsabile del gruppo tecnico cultura di Confindustria, che vuole battere l'unione degli industriali, spingendo l'azione dei mecenati verso i loro territori d'appartenenza, sui monumenti locali, sul patrimonio delle tante splendide città di provincia di cui è impunturato il fascino italiano. Anzi, il mecenatismo, incalza, «deve diventare una pratica normale, ordinaria, in ogni paese d'Italia». Tant'è, Botti ricorda il caso del Comune di Perugia, che ha vinto l'edizione 2019 del concorso Art Bonus con l'entusiasmo di un progetto che aveva dietro di sé un'intera comunità. Ma anche il gesto di un grande imprenditore come Cucinelli, che ha finanziato, nella sua Umbria, il restauro del teatro Morlacchi. De Simoni sottolinea il ruolo di Ales, la società in house alla quale il ministero guidato da Franceschini ha affidato l'intera gestione Art Bonus: «Ha funzionato perché ci siamo mossi da strumento intermedio in grado di far parlare i due linguaggi del pubblico e del privato». E perché dietro ogni nuova donazione c'è anche un lavoro continuo e capillare alla ricerca di sempre nuovi accordi con le istituzioni e le associazioni, unita ad un battage informativo che non conosce sosta. E se il primo modello di riferimento all'epoca dell'estensione della legge era proprio la Francia, come ricorda Casini che ne fu l'estensore, essenziale oggi, sottolinea De Simone, è anche mantenere alta l'attenzione sullo scenario internazionale «per offrire occasioni favorevoli anche agli imprenditori globali». Il governo è impegnato, assicura il capo di gabinetto di Franceschini, «gli operatori ci chiedono di estendere e rafforzare la norma. L'intenzione c'è - assicura - la strada è questa».