“I treni della felicità”, storie di un’Italia generosa e povera
Al Florian di Pescara doppio appuntamento con la rassegna “Femminile plurale” In scena il dopoguerra e i bambini partiti dal Sud e accolti dalle famiglie del Nord
PESCARA. “I treni della felicità – Questa storia nei libri di testo non c’è” è un racconto talmente straordinario da sembrare frutto di fantasia, ma è assolutamente vero e fa parte della nostra cultura. Stasera alle 20.45 e domani 19 marzo alle 18 al Florian Espace di Pescara per la rassegna “Femminile plurale – l’Arte delle Donne” sarà in scena lo spettacolo della Fondazione Luttazzi – Teatro della Tosse insieme all’associazione Madè di Genova con il patrocinio dell’Anpi, ideato e diretto da Laura Sicignano, che ha curato il testo insieme ad Alessandra Vannucci.
Uno spettacolo di forte impatto emotivo vista la storia, ovvero l’impresa di trasportare migliaia di bambini da famiglie povere del Sud al Nord per un periodo di “affido”. Una vicenda del dopoguerra che vede le donne protagoniste. In scena le interpreti che hanno contribuito con le loro storie a tessere la drammaturgia sono Fiammetta Bellone, Federica Carruba Toscano, Egle Doria, accompagnate dalle musiche originali eseguite dal vivo da Edmondo Romano. Tre donne di età diverse e di diverse zone d’Italia si interrogano su quanto Storia e Memoria abbiano contribuito a costituire le loro identità presenti. La storia che narrano è un mito di fondazione dell’Italia e al tempo stesso una storia dimenticata: i “treni della felicità” che portarono in «Alta Italia», come allora si diceva, circa 70 mila bambini provenienti da località stremate dal conflitto. Le famiglie li accoglievano in nome di un’Italia da ricostruire. Storie di abbandoni e di accoglienza, di dialetti incomprensibili, di abbracci senza smancerie. Un affresco di personaggi di un Paese reale e ideale, vissuto e sognato attraverso l’azione politica e solidale delle donne.
Il primo convoglio partì da Roma, Stazione Termini, il 19 gennaio del ‘46. Non era più un treno di morte come quelli dei deportati, ma ricostruiva la vita. A chiamarli «treni della felicità» fu il sindaco di Modena; a lanciare l’iniziativa furono le donne della neonata Udi, a partire dall’idea di solidarietà laica che animava Teresa Noce, battagliera dirigente comunista e partigiana da poco rientrata dal campo di sterminio di Ravensbrük. I lunghissimi viaggi in treno rappresentavano per i ragazzini un percorso di formazione, anche segnato dal trauma dell’abbandono, che coincideva con la conoscenza del paesaggio italiano distrutto dalla guerra. Pur non essendo ricche, le famiglie ospitanti accoglievano i bambini come figli, nell’idea che l’Italia si sarebbe risollevata e ricostruita grazie alla collaborazione di tutti. I piccoli vennero rivestiti, mandati a scuola, curati, in cambio di niente. Lo spettacolo vuole indagare questo episodio dal punto di vista femminile, in una riflessione sulla maternità come condizione non solo biologica, ma anche etica e politica. La sera della prima, la Compagnia incontra il pubblico in dialogo con Maristella Lippolis, scrittrice.
Uno spettacolo di forte impatto emotivo vista la storia, ovvero l’impresa di trasportare migliaia di bambini da famiglie povere del Sud al Nord per un periodo di “affido”. Una vicenda del dopoguerra che vede le donne protagoniste. In scena le interpreti che hanno contribuito con le loro storie a tessere la drammaturgia sono Fiammetta Bellone, Federica Carruba Toscano, Egle Doria, accompagnate dalle musiche originali eseguite dal vivo da Edmondo Romano. Tre donne di età diverse e di diverse zone d’Italia si interrogano su quanto Storia e Memoria abbiano contribuito a costituire le loro identità presenti. La storia che narrano è un mito di fondazione dell’Italia e al tempo stesso una storia dimenticata: i “treni della felicità” che portarono in «Alta Italia», come allora si diceva, circa 70 mila bambini provenienti da località stremate dal conflitto. Le famiglie li accoglievano in nome di un’Italia da ricostruire. Storie di abbandoni e di accoglienza, di dialetti incomprensibili, di abbracci senza smancerie. Un affresco di personaggi di un Paese reale e ideale, vissuto e sognato attraverso l’azione politica e solidale delle donne.
Il primo convoglio partì da Roma, Stazione Termini, il 19 gennaio del ‘46. Non era più un treno di morte come quelli dei deportati, ma ricostruiva la vita. A chiamarli «treni della felicità» fu il sindaco di Modena; a lanciare l’iniziativa furono le donne della neonata Udi, a partire dall’idea di solidarietà laica che animava Teresa Noce, battagliera dirigente comunista e partigiana da poco rientrata dal campo di sterminio di Ravensbrük. I lunghissimi viaggi in treno rappresentavano per i ragazzini un percorso di formazione, anche segnato dal trauma dell’abbandono, che coincideva con la conoscenza del paesaggio italiano distrutto dalla guerra. Pur non essendo ricche, le famiglie ospitanti accoglievano i bambini come figli, nell’idea che l’Italia si sarebbe risollevata e ricostruita grazie alla collaborazione di tutti. I piccoli vennero rivestiti, mandati a scuola, curati, in cambio di niente. Lo spettacolo vuole indagare questo episodio dal punto di vista femminile, in una riflessione sulla maternità come condizione non solo biologica, ma anche etica e politica. La sera della prima, la Compagnia incontra il pubblico in dialogo con Maristella Lippolis, scrittrice.