L’INDOMITA MARIA SOFIA ULTIMA REGINA DEL SUD

Figlia di Massimiliano Wittelsbach, duca di Baviera, e di Ludovica Guglielmina di Baden (sua cugina), Maria Sofia (1841-1925) fu l’ultima regina di Napoli prima dell’Unità nazionale. Moglie...

Figlia di Massimiliano Wittelsbach, duca di Baviera, e di Ludovica Guglielmina di Baden (sua cugina), Maria Sofia (1841-1925) fu l’ultima regina di Napoli prima dell’Unità nazionale. Moglie diciottenne del re Francesco II di Borbone, definitivo sovrano del Regno delle Due Sicilie dal 1859 al 1860, alla vigilia del crollo che favorì il passaggio della plurisecolare “nazione napoletana” nel quadro istituzionale della neonata nazione italiana, sotto l’egida della monarchia sabauda e la direzione politica del conte di Cavour, Maria Sofia di Baviera riuscì, in una congiuntura particolarmente difficile per le sorti ormai segnate della monarchia meridionale, ad integrarsi rapidamente nella vita di corte. La storia singolare ed avventurosa di questa regnante mai doma, posta tra la vicenda conclusiva dei Borbone di Napoli e il suo lungo ed attivissimo esilio, per dieci anni a Roma alla corte del papa Pio IX, poi ospite in diverse capitali europee, viene ora incisivamente ricostruita da Aurelio Musi, già professore ordinario di Storia moderna nell’Università di Salerno e in università americane, membro attuale della Real Academia de la Historia di Madrid, nel bel libro Maria Sofia. L’ultima regina del Sud, pubblicato per i tipi dell’editore Neri Pozza. In questo brillante lavoro Musi mette in luce il dramma umano di una donna vitalissima che, condividendo con il marito il duro travaglio della sconfitta, non si perde d’animo e, ancor più del timido Francesco, si adopera sin da subito, dopo la disastrosa epopea di Gaeta, per tessere contro i Savoia, odiati responsabili della fine di un regno antico e glorioso, le fila di una pur fragile ed esigua reazione legittimista ed antiliberale, cercando di incoraggiare il moto sovversivo del brigantaggio nel vano tentativo di riconquistare un regno in realtà perduto per sempre. Vivace ed estroversa, assai distante dai modi impacciati di Francesco, la nuova regina si era presentata a Napoli ostentando una condotta non paragonabile al rigoroso tradizionalismo della regina madre Maria Teresa d’Asburgo, matrigna di suo marito, che mal sopportava le esuberanze di Maria Sofia, fumatrice di sigari, dedita alla scherma e all’equitazione e soprattutto amante della fotografia, strumento allora modernissimo ed innovativo che volle introdurre a corte: era la prima volta che accadeva sul suolo italiano. Prese così a farsi ritrarre al cospetto dell’obiettivo di Alphonse Bernoud, fotografo francese tra i più famosi dell’epoca, non solo in occasioni ufficiali, come ad esempio il suo matrimonio regale, ma pure nella cornice spregiudicata di pose anticonformiste da indossatrice autentica, esibendo di volta in volta abiti alla moda, tenute da amazzone o vestiti con cappello e stivali. Era la dimostrazione che Maria Sofia aveva ben compreso l’importanza rivoluzionaria della fotografia, potente fenomeno di costume che a metà dell’Ottocento aveva ormai fatto breccia un po’ dovunque nel continente europeo.
Evidenzia Musi come grazie all’uso consapevole di questo mezzo mediatico, prorompente novità del secolo rispetto alle consuetudini dell’iconografia pittorica, la sovrana di Napoli riuscisse a costruirsi il mito di regina e donna di grande fascino e carisma, alla pari della più famosa sorella Elisabetta, la nota Sissi, consorte dell’imperatore d’Austria Francesco Giuseppe, a lei assai simile nell’originalità ed autorevolezza dei comportamenti, oltreché nello stile di vita spiccatamente indipendente e libertario. Ma l’autore racconta pure come Maria Sofia cadesse più volte vittima di campagne diffamatorie ad opera di spacciatori di falsi fotomontaggi, che allo scopo di denigrarla per motivi ideologici la immortalavano in scandalose foto di nudo.
Attorno alla sua duplice figura di regina-soldato e di nobildonna dal gusto elegante e raffinato il mondo dei vinti, rimasto fedele ai Borbone, ne alimentò la memoria duratura di indomita eroina. Anche la cultura letteraria del suo tempo manifestò un certo interesse nei suoi riguardi: fu ad esempio Gabriele d’Annunzio a considerarla con disprezzo «aquiletta bavara che rampogna» col fine di esaltare strumentalmente il nascente nazionalismo italiano di primo Novecento, ma fu pure Marcel Proust a dedicarle, al contrario, seducenti e riconoscenti pensieri in prosa. L’autore aggiunge infine il magistrale dialogo immaginario con la regina di Napoli, che lo scrittore Leonardo Sciascia tenne negli anni Settanta per la serie radiofonica delle Interviste impossibili, spunto per un’acuta riflessione su trasformismo, questione meridionale e revisionismo filoborbonico, tra i grandi nodi irrisolti della storia d’Italia.
* Docente di Storia moderna Università “d’Annunzio