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L'obiettivo di Schirato sulle rotte dei migranti

Il fotoreporter pescarese espone i suoi scatti al MuMi di Francavilla: "Ho voluto testimoniare ciò che accade nelle terre di sbarco dove si fa la Storia. A Lesbo, in Grecia, ho visto il non raccontabile"

One way only. Una sola strada, una sola occasione per cambiare vita, lasciandosi alle spalle guerra, morte e violenza, con dentro agli occhi del viaggio una sola e grande speranza: tornare a essere liberi, tornare a essere umani. E' questo che si scorge nelle foto di Stefano Schirato, in mostra a partire da oggi fino al 24 aprile, nel MuMi, il Museo Michetti, di Francavilla, nell'esposizione “One way only. Senza voltarci indietro”, la cui inaugurazione sarà accompagnata, dalle 17.30, da un convegno sul tema dei rifugiati, dove interverranno il presidente della Regione, Luciano D'Alfonso, l'inviato di guerra di Rai 1, Amedeo Ricucci, e il coordinatore nazionale immigrati della Caritas, Oliviero Forti. Schirato, 42 anni, bolognese di nascita ma pescarese di vita, collabora con testate come New York Times, Le Figaro, Geo International, Vanity Fair, Repubblica, ci ha abituato, con i suoi reportage fotografici, a lavori dall'alto impatto emotivo, come quelli su Belgrado, Sarajevo e Cambogia, ma in “One way only” sembra davvero essere entrato fino in fondo nell'anima dei soggetti ritratti.

Un lavoro di cinque mesi, nato dai tre viaggi fatti da Schirato lungo la rotta balcanica. Un lavoro figlio di un'urgenza, nato senza commissioni, una sorta di appello della Storia a cui il fotoreporter si è sentito chiamato, sia per guardare con i propri occhi - ovvero con quelli della sua macchina fotografica - quanto stava accadendo a soli 500 km di distanza da noi, sia per dare un volto e una identità ai migliaia di migranti siriani, iracheni e afghani in transito lungo la rotta che dalla Turchia passa attraverso Grecia, Macedonia, Croazia, Serbia e arriva dritta nel cuore dell'Europa, in Austria e Germania.

Un lavoro importante di cui Stefano Schirato in questa intervista al Centro racconta la storia.

Com'è nato “One way only”?

In modo spontaneo, come gran parte dei miei lavori. Nel settembre scorso ho preso l'automobile e, con un collega, sono partito in direzione Tovarnic, in Croazia, per poi spostarmi verso il clou degli sbarchi, a Lesbo, in Grecia. E lì ho visto il non raccontabile: migliaia e migliaia di persone in arrivo dal mare, 40-50 sbarchi nell'arco di poche ore, un flusso umano impressionante. Siriani, iraniani, afghani in arrivo continuo quando, a differenza di adesso, non ancora c'erano i campi di accoglienza organizzati; migliaia di persone bloccate anche giorni e giorni a Mitilene (dopo aver camminato 30 km a piedi per raggiungerla), in attesa della nave che li portasse ad Atene. Al ritorno dal primo viaggio ho fatto vedere alcune foto alla Caritas, che, rimasta folgorata dal lavoro, mi ha finanziato i viaggi e i reportage successivi, che si sono conclusi lo scorso febbraio. Questo è il cuore di “One way only”, nato dalla consapevolezza che in quelle terre di sbarco si stesse facendo la Storia, una svolta epocale, di quelle che i miei figli studieranno sui libri.

Qual è stata la sua prima impressione riguardo ai migranti?

Un'impressione di verità. Tutti noi pensiamo che i migranti siano dei poveracci, e invece la maggior parte delle persone di loro che ho conosciuto, in particolare i siriani, è mediamente colta, parla inglese, laureata; ricordo alcuni giovani ragazzi che si informavano se le università di ingegneria fossero migliori in Francia o in Germania.

E cosa cercano?

Quello che cerchiamo tutti, anche quando ne abbiamo in abbondanza: la libertà. Sentire riconosciuta la propria storia, il proprio nome, la propria dignità di essere umano.

Com'è cambiato Stefano Schirato dopo questo lavoro?

Più che cambiare ho compreso che ognuna di quelle persone potrebbe, un giorno, portare il mio nome. Potremmo essere noi. I tempi che viviamo non tutelano nessuno, sono in atto trasformazioni strutturali, non siamo al sicuro da niente, ecco perché nel mio lavoro scelgo di dare volti e significato alle storie di persone che - per usare una bella immagine di Erri De Luca - potrebbero sembrare solo una moltitudine di schiene. Ricordo quando a Lesbo, in un giorno di sbarchi frenetici, vidi scendere da una nave, tra ragazzini, una bambina, sola e fradicia di pioggia: ho pensato a mia figlia, poteva essere lei, mi si è fermato il cuore, non ho potuto più scattare foto, mi sono avvicinato a lei e le ho accarezzato il viso. Quella immagine l'ha però scattata un mio collega, ed è il ricordo più toccante che conservo di “One way only”.

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